Dev’essere come la Resistenza per i politici di una volta. Guai a chi tocca la Costituzione. I magistrati fanno muro. Anche questa volta. Le toghe ascoltano il grido di dolore di Berlusconi e gli rispondono per le rime, cestinando direttamente, senza se e senza ma, le critiche e i propositi di riforma enunciati dal Cavaliere. Le parole sono dure, taglienti, quasi sprezzanti: «Non nascondiamo - si legge in una nota dell’Associazione nazionale magistrati - la nostra preoccupazione di fronte ad annunci di riforme costituzionali che sembrano piuttosto stravolgimenti dell’attuale sistema democratico».
Siamo alle solite, il partito dei giudici considera Berlusconi un’anomalia se non un pericolo per la democrazia. Non c’è dialogo, la magistratura sta sulle barricate e da lì risponde picche alle riforme vagheggiate dal premier: «Grazie alla Costituzione vigente - prosegue l’Anm - sappiamo che ogni modifica richiede un lungo iter, larghe maggioranze e, eventualmente, l’interpello del popolo italiano. Perciò continuiamo a operare serenamente». Come dire, i cambiamenti sono sulla bocca e nella testa del presidente del Consiglio ma l’Anm riuscirà a farle naufragare, perché cambiare la Costituzione richiede molti passaggi ed è più complicato che trovare l’uscita di un labirinto.
Insomma, i leader della magistratura non si spostano di un millimetro dalle loro posizioni. E replicano al Cavaliere con toni che sfiorano il sarcasmo, improvvisando una lezioncina non richiesta sulla Consulta: «Ovviamente, la Corte costituzionale, come in ogni Paese del mondo che ne preveda l’esistenza, giudica le leggi approvate dalle maggioranze parlamentari, di qualsiasi colore e orientamento politico. E la Costituzione, come spiega qualsiasi manuale di educazione civica, la colloca fra gli organi di garanzia e non fra le articolazioni della magistratura». Dunque, l’Anm liquida gli attacchi del premier sfogliando le pagine dei libri per ragazzi: la Consulta non è in mano alla sinistra, come nota Berlusconi, e le riforme non arriveranno mai. Perché le procedure sono complesse e chi teme il cambiamento può dormire sonni tranquilli. «Per fortuna di tutti - ironizza l’Anm - l’ordinamento italiano e la Costituzione vigente prevedono organi di garanzia e il controllo dell’operato di qualsiasi potere e ordine, magistratura compresa».
Non c’è niente da fare: Berlusconi e il sindacato dei giudici non s’intendono. Stanno su due piani diversi. E alle esternazioni a ruota libera del Cavaliere, i giudici rispondono citando questo o quell’articolo della nostra carta fondamentale, come professori alle prese con uno studente incerto e un po’ confuso.
Dietro le quinte, i toni sono anche più sbrigativi. Così il pm di Firenze Alessandro Crini battezza sul versante giudiziario l’epiteto sdoganato da Fini: «Ma guarda te questi stronzi... », dice a proposito del Cavaliere e di Dell’Utri il 3 settembre scorso. Crini, in coppia con il collega Giuseppe Nicolosi, sta interrogando Filippo Graviano, boss di Brancaccio che oggi tornerà davanti ai giudici a Palermo insieme al fratello Giuseppe. In sottofondo c’è l’inchiesta sulle stragi di mafia del ’93 e ci sono le presunte recriminazioni degli uomini d’onore che, come ha spiegato il pentito più alla moda, Gaspare Spatuzza, si aspettavano molto dal Cavaliere e invece hanno ricevuto solo una dose abbondante di manette, ergastoli e 41 bis. Così, come svela il settimanale Panorama oggi in edicola, Crini si lascia andare: «Guarda te questi stronzi, queste carogne, che in un certo senso, hanno prima fatto vagheggiare chi sa che cosa, e poi siccome non è arrivato nulla... ».
Uno scivolone in una normale giornata di guerra. Anche il procuratore di Torino Giancarlo Caselli scende in campo, ma il suo bersaglio è il Guardasigilli Angelino Alfano. Alfano aveva invitato i giudici ad andare meno in tv. Caselli lo prende alla lettera scegliendo i microfoni di Radio 24 per replicare: «Le parole del ministro sembrano quelle di un simpatico burlone.
Così il capo del governo e il suo Guardasigilli restano sotto il fuoco dei giudici.
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