Sarà che «tutti hanno qualcosa di cui avere paura», dalle parti della Rubliovka. Sarà che amano seguire i figli che studiano allestero, stare con la famiglia che preferisce loccidente allenclave moscovita per soli straricchi. Sarà che hanno così tanti soldi da investire, gli oligarchi russi, che devono pur spostarsi allestero, farsi notare con acquisti da imbarazzare uno sceicco. Abramovich, Tariko, Berezovsky, Usmanov, Doronin, Prokhorov, Blavatnik, Milner, Iskenderov, Miller, Rybolovlev: unarmata da miliardi di dollari. Rybolovlev ha quarantacinque anni e per la prima metà della sua vita era soltanto uno spiantato, uno dei tanti. Poi è diventato uno dei cento uomini più ricchi del mondo, e ultimamente ha dato nellocchio: nel 2008 ha comprato la villa di Donald Trump a Palm Beach (cento milioni di dollari); nel 2010 ha venduto le sue azioni in Uralkali (valore 5,3 miliardi); una settimana fa ha acquistato la casa più cara di New York, al numero 15 di Central Park West (88 milioni, meno dei cento spesi da Yur Milner per una villa a San Francisco); è sulla via del divorzio a un costo di circa sei miliardi di dollari; starebbe per comprarsi anche la squadra di calcio del Monaco, con un investimento di 200 milioni.
Laffare è di questi giorni: cè già stato un incontro col principe Alberto e secondo il presidente del club si dovrebbe concludere entro fine anno, per fare arrivare nuovi giocatori già a gennaio. Perché la squadra del Principato è ultima, in seconda divisione. La finale di Champions League del 2004 è un ricordo quasi mitologico, del resto pure José Mourinho, che tolse il sogno ai monegaschi col suo Porto guadagnandosi così il suo ambito gradino appena sotto Dio, non se la passa più tanto bene. Invece Rybolovlev se la spassa alla grande, sembra che il suo conto sia un pozzo senza fondo, del resto pare che non ci sia oligarca senza ostentazione. Épater le bourgeois dicevano i poeti decadenti, scandalizzare la borghesia mediocre e meschina, del resto ci vuole poco: e allora perché non lasciare di sasso questi occidentali dai patrimoni e dai gesti limitati, basta soltanto una montagna di dollari per dimostrare qualcosa (cera dellironia, nei poeti francesi, ma in tempo di crisi dicono ci voglia saggezza e quindi ci sia poco da sfottere la forza del denaro).
I miliardari russi non si fermano davanti a nulla: per le Olimpiadi di Londra sono riusciti a farsi affittare dalla regina Elisabetta una parte di Kensington Palace, la futura residenza di William e Kate. La caparra - sostiene il Telegraph - sarebbe di 300mila euro, il totale dellaffitto è ancora ignoto: per un mesetto la delegazione russa potrà ritrovarsi nei giardini a nord del palazzo, che ospiteranno feste ed «eventi culturali» per oligarchi e vip. In tempi di austerity, anche la corona più prestigiosa deve fare cassa con quel che può. Del resto è la crisi stessa a sollecitare il senso degli affari dei russi, gente abituata a uscire dal buio, perché oggi sono miliardari, ma ventanni fa esatti, quando lUrss diceva addio alla storia, erano nessuno. Boris Berezovsky, il magnate in esilio a Londra, negli anni Ottanta insegnava matematica per settanta euro al mese. Rustan Tariko, re della vodka, ha confessato al Sole 24 ore: «Non mi dispiacerebbe comprare una banca italiana: oggi sono valutate dal mercato appena il 15-20 per cento del loro valore effettivo». Tariko si è appena comprato litaliana Gancia e ha detto che vorrebbe proseguire lo shopping con altri produttori di Asti Docg, «ma è difficilissimo trovare qualcuno disposto a vendere».
Anche gli oligarchi trovano chi li ostacola, sarà per ricordarsi sempre che pure loro hanno qualcosa o qualcuno da cui fuggire, come le insidie nascoste nella lussuosissima e artificiosa Rubliovka. Perfino i tifosi del Chelsea contestano Abramovich e la sua idea di costruire uno stadio nuovo da sessantamila posti, per non sfigurare con lArsenal e il Manchester United (passare da pezzente è per loligarca un peccato mortale, è ovvio). Mentre i piani di Emin Iskenderov sono frenati da una inquilina di una casa popolare di Parigi, che non tollera i suoi progetti di due grattacieli extralusso alti come la Torre Eiffel (un metro di meno, perché il rispetto è rispetto), dal nome modesto di Hermitage Plaza.
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