«I masnadieri» diventano cinema d’autore

I masnadieri di Schiller non è, come spesso ancor oggi si sente dire, una versione romantica ed esagitata del Re Lear, anche se l’autore, per sua ammissione, ne riprende inizialmente lo schema opponendo Karl a Franz come faceva Shakespeare con Edgar ed Edmund. E questo perché lo Sturm und Drang in cui si dibatte il poeta tedesco rifiuta il manicheismo titanico del Bardo nella chiusa ispirata al concetto trascendente della giustizia. In Schiller infatti siamo ormai alla constatazione dell’uomo come agente sia del male che del bene. Un animale politico per eccellenza che assomma e confonde le virtualità della natura diventando il personaggio bifronte che è insieme sia Karl che si vuole un Robin Hood degli oppressi, sia Franz che nella smania di potere finisce per firmare la propria condanna. Qui Gabriele Lavia torna al leit motif fondamentale della sua concezione scenica: fare del teatro il luogo sia del confronto col testo in accezione contemporanea, sia del raffronto tra il Lavia regista impulsivo e generoso di un tempo e il Lavia regista analitico e didattico di oggi. Il risultato è un memorabile spettacolo nel segno di Piscator col teatro che si fa cinema d’autore per tornare a se stesso con la scena elevata a epos straniante e suggestivo.

Con quella foresta di pali solcati dal riverbero dei riflettori, quell’Amalia che suona una chitarra da cui trae i suoni che segnano la sua disfatta nella morte, quel Franz elevato a simbolo della tragica impotenza del male e soprattutto quel Karl (Francesco Bonomo, dotato di aplomb straordinario) che recita morte individuale e sacrificio collettivo come inutile solitario olocausto.

I masnadieri di Schiller. Teatro di Roma/Stabile dell’Umbria. Regia di Gabriele Lavia. Roma, Teatro India, fino al 27 novembre.

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