I miei anni ruggenti nella scuola che sfornò grandi menti

Perché tanto astio contro il Liceo «Andrea D’Oria»? Leggo, in questi giorni, professoresse, lettori affezionati, mamme varie che usano un linguaggio, posso dirlo, anche offensivo nei confronti di un «Liceo» che ha rappresentato per Genova uno dei più forti punti di riferimento educativo nello scenario scolastico non solo genovese, ma italiano.
Io ero un «Doriano». I miei anni ruggenti di studente erano gli anni Cinquanta (dal ’50 al ’56 frequentavo Ginnasio e Liceo), forse anni diversi da quelli dei nostri arroventati critici. Certo è che sentire certe espressioni mi hanno fatto sussultare. Come si fa a dire: «...non tornerei più in quel Liceo...», o come: «C’era tanto fumo...», e ancora: «Meglio il Colombo...». E via di questo passo? Chiedo al mio direttore di essere, per qualche cartella, il testimone a tutto favore di un Liceo eccezionale, formativo, ben strutturato con un corpo insegnanti di primo livello. È vero, gli anni ’50 forse erano diversi: ricordo la Genova di allora, una città che lavorava, che viveva un rilancio straordinario in tutti i settori, dopo gli anni del secondo dopoguerra. Porto che vibrava con le mille navi attraccate, l’economia che esplodeva con l’industria (ancorché di Stato), i genovesi che trovavano sempre lavoro e occupazione. Il mondo culturale era vivo, i teatri pieni, i centri culturali impegnati. Ed anche la scuola viva e vibrante. Ebbene: in questo scenario c’era il «Liceo Andrea D’Oria». Dal quale sono uscite le cosiddette «teste d’uovo» che hanno nobilitato la città in tanti settori, industriali, medici, sociali.
Erano anni ruggenti: noi studenti avevamo traguardi da raggiungere e si pensava che un buon titolo di studio (la maturità classica) avrebbe permesso di arrivare a posti di riguardo: e dal «Liceo D’Oria» questi diplomi venivano consegnati con grande attenzione. Uscire da quello storico Liceo significava avere una patente di ragazzo preparato.
Leggo curiose affermazioni: «Altra ottusità del Liceo D’Oria era quella di bocciare a settembre alcuni rimandati che avevano costretto la famiglia a trascorrere l’estate in città... a spendere 3.000 lire all’ora per le ripetizioni». Ebbene, racconto la mia esperienza personale: ero sempre, puntualmente, rimandato di tre/quattro materie (sempre quelle scientifiche, matematica, scienze, fisica e non so poi perché mi aggiungevano sempre «arte»). Dovevo studiare, certamente in estate qualche ripetizione la prendevo, ma a settembre ero puntualmente promosso. Un «percorso» molto intenso, verificato dai professori con assoluto equilibrio.
Dal D’Oria sono usciti fior di professionisti: ricordo, ovviamente, la mia classe liceale, la «terza B» (e non vorrei essere troppo nostalgico e oleografico...), una classe dove sedevano studenti come Mauro De Andrè (fratello di Fabrizio) divenuto poi avvocato di grido a livello internazionale, Arrigo Frisiani, ricercatore ingegnere affermatosi negli Stati Uniti, Paolo Saletti giornalista di punta nell’Ordine nazionale e tanti, tanti altri. Certo, studiare era difficile, c’era è vero anche tanta paura, la famosa «campanella» di fine lezione costituiva il grande respiro di sollievo per noi tutti. Ma c’era anche il piacere di ritrovarsi al nostro Liceo, di scherzare sui professori, di realizzare il tradizionale (allora) «Giornalino di classe», di aspettare il sabato pomeriggio per gli storici «pomeriggi studenteschi di ballo» lassù sulla Terrazza del Grattacielo dove suonava l’Orchestra Milanese. E chi dimentica le belle ragazze del «D’Oria» di cui tutti eravamo innamorati. Era di quegli anni anche la presenza di Riccardo Garrone, di Enrico Mazier (marittimista illustre). E le ragazze? Quella Anna Maria Guglielmino di cui si innamorò pazzamente Duccio Garrone, e quella Novella Stuparich (triestina) che andò sposa a Nicola Balestra, diventato marittimista di lusso. E ancora: Marisa Albasini, dolce e piccante, abitava, pensate, a Volpedo (terra di quel Pelizza da Volpedo ed anche terra di splendide pesche che assaporammo in qualche gita organizzata), e Amelita Dolcino una specie di «Gradisca», e ancora Anna Camus, una specie di «Cammeo» che ancora oggi con amici ricordava quegli anni. Ma non basta: i professori. Chi dice che «...si faceva molto fumo..?». Ricordo Mario Puppo, di italiano, autore di importanti libri di letteratura, innamorato del «Romanticismo», sapevamo tutto di Manzoni, dei «romantici decadenti» come il Prati e l’Aleardi. E tutto il Manzoni che ancora oggi ripensiamo e conosciamo a memoria.
E il professor Lagostena (di greco e latino)? Lo chiamavamo «Trocheo» (verso greco) perché zoppicava e ancora quella folle professoressa di scienze che si chiamava Fasola, rimasta indelebile nel ricordo di noi studenti. Ricordo che alla lezione finale prima degli esami di terza liceo, prendemmo tutti «due», tranne Mauro De Andrè, che per solidarietà rifiutò il suo solito «otto». Un grande gesto che mandò in crisi la irritante Fasola. Ma altri ricordi. Allora alla radio (la tv stava appena per nascere) c’era una bella trasmissione culturale: «Terza liceo». La conduceva da Roma il professor Ernesto Rossi. Era uno scontro fra tutti i licei italiani. E il «Liceo D’Oria» corse con i suoi tre alfieri: Romolo Rossi, Arrigo Frisiani, Carlo Sallustio. Io ero «riserva» (ahimè!).
E perché dimenticare, studente niente male, nonostante le «malevoci» Paolo Villaggio e suo fratello, lui sì grande mente, Piero oggi ancora rettore della Normale di Pisa? E Paolo Fresco che fu presidente della Fiat dopo l’esperienza americana della General Motors?
E Romolo Rossi, uno dei grandi esponenti della moderna psichiatria nazionale? Questo era il «Liceo D’Oria» degli anni Cinquanta. E sentire dire che «...il Colombo era...» con tutto quel che si è voluto far intendere, confesso mi son venuti i brividi lunghi.
Per chi scrive il «D’Oria» è stato un pezzo di vita importante e indimenticabile. Certo, fatto anche di paure, di tensioni, ma anche di gioia e di felicità.

La «focaccia» nell’intervallo, la voce all’altoparlante del preside di allora, il severo Ziccardi, la pipa del professor di filosofia Galimberti (un savoiardo piemontese che col suo dialetto spiegava Hegel e Kant), gli amori quasi sempre perduti con la ragazza del banco accanto, non possono che rappresentare la vita di una giovinezza vissuta, per fortuna, ma con tanta serenità nel ricordo (lasciatemelo dire) del «Liceo» più importante e significativo nella storia scolastica della nostra città.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica