«I miei settant’anni da Mao a Berlusconi passando per Cl»

Gridavano «Stalin, Mao, Brandirali». Idolatrato e odiato come un capo carismatico, celebrava matrimoni comunisti col potere di un santone ideologico. Non c’è mai stato posto per le vie di mezzo, nella vita di Aldo Brandirali. La compagna, «la mia Teresa», in quegli anni ha devoluto al partito l’intera eredità di una famiglia della borghesia intellettuale. Qualcosa come 7 milioni di euro di ora. Eppure non ha rimpianti, ora che è a un passo dai 70 anni e ripensa a quei furori con un sorriso senza amarezza. Da Mao a don Giussani, dall’incontro con un ragazzino calabrese, sveglio e poverissimo, a un immigrato musulmano di via Padova. Tutto (e il contrario di tutto) si tiene in questa storia. Leader maoista nel ’68, oggi consigliere comunale del Pdl, «ciellino». «Come mi sento? Benissimo. Sono contento di essere cristiano. Ero comunista e oggi sto con Berlusconi. Forse crede che dovrei sentirmi dilaniato, invece sono lo stesso Aldo che aveva 13 anni».
Che faceva a 13 anni?
«Politica. Contro la legge-Truffa».
Una normale legge elettorale...
«Sono nato comunista, padre partigiano, partecipava alle azioni della Volante rossa di Lambrate, ma non gli piaceva che si tenessero una parte dei soldi. Mia madre comunista anche lei, ma s’incazzò presto».
Cosa c’è prima del suo ’68?
«La fabbrica, il sindacalismo. Ero a Roma ma fui uno dei pochi giovani dirigenti comunisti a fare il militare. C’era un accordo fra Andreotti e Pajetta. A me disse: “Compagno, qualche comunista che sappia sparare ci vuole”».
Lei invece uscì dal Pci..
«Il togliattismo mi sembrava una menzogna, fingeva di volere la rivoluzione ma non credevano nella democrazia. Nel ’67-’68 c’è il gruppo Falce e Martello, l’Unione Comunisti Italiani marxisti-leninisti, il giornale Servire il Popolo».
Il Maoismo. Perché non le piaceva l’operaismo?
«La parola popolo è la chiave. Credevamo nel Meridione, nei contadini, le città per noi erano corrotte, gli operai una classe privilegiata».
Chi c’era con lei?
«Il mio primo amico, dissidente nel Pci, Ivan Della Mea. Poi, nel Pcml, eravamo 15mila. C’era Renato Mannheimer, ma non l’ho sposato io. Ricordo un giovane Michele Santoro, riccioluto e simpaticissimo».
Maoista anche lui. Che rapporto c’è fra voi?
«Allora, durante un ritiro a San Pellegrino ci fece trovare una chiesa imbrattata, ci mise contro tutta la gente del posto. Ora mi odia, per un fatto di coerenza credo, lui è l’esempio della rigidità della sinistra, un campione di astrattezza».
Lei si sente coerente? Qual è il filo conduttore di tutto?
«Il Comunismo era tutto teoria, io ho sempre buttato a mare la teoria. Poi non sono mai stato classe dirigente. Il filo conduttore, dalla fabbrica a oggi, è il tratto umano. L’uomo».
Perché scioglie il partito?
«Uno dei nostri disse: “Ho incontrato gente delle Br, vogliono parlare con te”. Il ragazzo in quella famosa foto con la pistola, a San Vittore, era dei nostri. Ma ci siamo fermati in tempo. Solo qualcuno è finito nella lotta armata».
Che succede allora? Cosa fa?
«Siamo nel ’75. Anni durissimi. Io ho cercato l’errore del Marxismo. Mi sono avvicinato alla liberaldemocrazia. Ero molto amico di Pietro Bucalossi, l’ex sindaco. Questo liberalismo mi spiegava l’orrore della dittatura, ma non bastava».
Allora incontrò il dono della fede?
«Il Comunismo non fa i conti con l’uomo. Andavo per grotte allora. All’interno di un cunicolo lungo 300 metri, a Lascaux, in Francia, vidi dei disegni. Rimasi folgorato. Non erano fatti per essere visti. Era un dialogo col mistero. Ma chi mi poteva parlare del mistero?».
Don Giussani?
«Cercai nell’elenco telefonico Comunione e Liberazione. Lo invitammo nel nostro piccolo centro. Eravamo in 12, loro vennero in 15. Io mi dicevo: “Non essere estremista”, invece lui commentò: “Che entusiasmo!”. Mi riconobbe com’ero».
E com’è? Non mi dirà moderato? Integrista le piace?
«Sì, se si intende come bisogno di unità fra cuore e ragione. Moderato nel senso che il significato prevale sui contenuti».
Esiste il Formigonismo?
«No, è un errore parlarne. Formigoni è mio fratello, ha visione. Nel ’92 lo salvai dai cattocomunisti che volevano far fuori i moderati dalla Dc».
E la Moratti?
«C’è un po’ di distacco. Secondo lei forse conto poco».


Si era parlato di un suo passaggio a Fli, ma lei è ancora nel Pdl..
«Sì, ho lasciato che si dicesse, che venisse il dubbio. Ma il Pdl, che non è esente dal rischio che il potere faccia fuori la politica, è un movimento che ha ancora dentro la politica»

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