Villatalla, un nome sconosciuto ai più: una frazione con trenta anime sui monti d'Imperia, poco sopra il paese di Dolcedo, famoso per il suo olio d'oliva; una vista in lontananza - sulla valle ed il mare increspato - che nei gironi di tramontana o di maestrale arriva fino in Corsica; poche case e tre chiese, tra cui quella parrocchiale riserva qualche sorpresa. All'esterno appare gradevole, ma senza particolari bellezze, come tante negli sperduti villaggi dell'Appennino ligure, mentre all'interno scopriamo un rococò «paesano»: l'immagine del Santo Patrono Michele Arcangelo, le statue di gesso bianco-marmo degli apostoli lungo le pareti laterali, quasi cento angioletti, decorazioni floreali e stucchi, che testimoniano di qualche benefattore o della generosità dei fedeli dell'epoca che fu: nemmeno tanto lontana, dato che l'edificio fu gravemente danneggiato da un terremoto, ricostruito e decorato nel 1887 col gusto di allora.
L'imponente e bell'altar maggiore barocco di marmo policromo sormontato dal Crocefisso è forse l'unico superstite di tempi più antichi. Fin qui nulla di strano: le chiese sono da sempre state oggetto dell'amor di Dio da parte dei cristiani, che non si risparmiavano per lodare il Signore nei modi più degni, quasi volessero - pur nelle asperità della vita quotidiana - assaporare un anticipo di Paradiso. La stessa liturgia con la sua lingua arcana e le soavi melodie del gregoriano - vera preghiera in forma musicale - portava l'animo alle sfere celesti, da dove Dio scendeva sull'altare quando l'alter Christus, il sacerdote, pronunciava il Hic est Corpus meum ed il Mysterium Fidei, che trasformavano il pane ed il vino nel Corpo e nel Sangue del Redentore. La santa Messa era il Golgota, che tornava davanti agli occhi, l'unico Sacrificio, che si rinnovava ogni volta in modo incruento sugli altari per la nostra salvezza, ben lontano da quella «cena dei fedeli» di luterana memoria, che incontriamo in molte chiese, dove la «mensa» ha soppiantato o addirittura sostituito l'altare, che di quel monte fuori Gerusalemme era il simbolo.
Abbassato lo sguardo dalle tante decorazioni esso si sofferma su un elemento estraneo per quell'architettura: due gruppi di quattro stalli monacali, piazzati a destra ed a sinistra davanti alla balaustra, apparentemente fuori luogo e senza logica, almeno fino a quando, un quarto d'ora prima delle dieci, non entrano due austere figure, coperte dal nero mantello col cappuccio alzato per il freddo vento che spazza il sagrato. Fatta la genuflessione e l'inchino tra loro, iniziano il canto dell'ufficio divino, così come si cantava a Montecassino o a Cluny, forse meno imponente per il ridotto numero, ma con la stessa armonia. Terminata l'ora canonica, il monaco-sacerdote si porta in sacrestia ed indossa i paramenti per la santa Messa, poi risuonano il Kyrie ed il Gloria pasquale, l'orazione cantata, le letture, la preparazione dell'offerta ed il Sanctus; il sacro canone è recitato in silenzio e, mentre siamo assorti in preghiera ed in contemplazione, il suono del campanello ci avvisa che Nostro Signore è sceso dal Cielo, si è offerto per ognuno dei presenti e per coloro a cui vogliamo bene, per le anime dei nostri cari defunti e per tutte necessità del mondo, che senza questo Sacrificio forse smetterebbe di esistere. Alla fine i fedeli ricevono l'Agnello di Dio, che vive in eterno, in ginocchio e con la devozione che si deve ad un sì sublime mistero: si uniscono per un breve momento alla Divinità, mentre un raggio di sole inonda l'altare.
Questi due monaci benedettini, che dalla Provenza sono venuti sul nostro mare, accolti benevolmente dal Vescovo Mario Olivieri nella sua diocesi d'Albenga-Imperia, dopo oltre vent'anni d'abbandono hanno ridato la vita a questa chiesa e regalano a tutti quelli che hanno la pazienza di affrontare la tortuosa strada, che porta a Villatalla, dei momenti indimenticabili: un paesino fuori dal mondo ed una liturgia che porta in altri mondi.
Dio ci ha creati anima e corpo, ci ha fatti di carne ed ossa, che pure hanno le loro esigenze; così delle simpatiche trattorie ed osterie sulla via del ritorno, specie all'uscita dal villaggio ed a Dolcedo, ci permettono di completare nel migliore dei modi la nostra gita.
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