Con i musulmani è impossibile un vero dialogo

Vittorio Mathieu

Il chiasso seguito alla lezione di Regensburg spero che confermi ancor più Benedetto XVI nel suo atteggiamento di capo della Chiesa e di teologo. Il pontefice romano ha due compiti, simboleggiati dalle due chiavi, bianca e gialla: governare la Chiesa e guidare i fedeli a una retta interpretazione della fede. Questo secondo compito (all’attuale pontefice, credo, più gradito del primo) gli spetta in quanto vescovo: vescovo di Roma, il più importante di tutti, ma pur sempre vescovo, che ha il compito di insegnare. Prototipo di questo tipo di vescovo fu Sant’Agostino, in polemica molte volte violenta contro altri vescovi (Donato, Pelagio, Massimino). Agostino non era papa, e poteva permettersi prese di posizione che al capo della Chiesa sono sconsigliate dalla sua funzione politica. Perciò a Regensburg Benedetto XVI ha parlato con moderazione (negata da chi è in cattiva fede); ma ha parlato da teologo, non da papa. Ciò è bastato a scatenare l’ira congiunta di fondamentalisti e di laicisti.
La politica della Chiesa - ad esempio, a proposito dei luoghi santi - può e deve intraprendere con i musulmani un «dialogo», in sostanza pragmatico: cerchiamo di convivere.
Ma la ricerca teologica della verità (che la Chiesa svolge in funzione del dogma ma, augurabilmente, in modo non dogmatico) non deve cercare un dialogo inteso in quel senso. Quando si crede di poterlo fare, ci si accorge che è un «dialogo tra sordi». Questa espressione si trova nell’opera di un laico sensibilissimo ai problemi religiosi, Alain Besançon, uscita nel 1996: Tre tentazioni della Chiesa, dove (guarda caso) si trova lo stesso esempio portato da Ratzinger: la controversia dell’erede al trono di Bisanzio, Emanuele II Paleologo, con un dotto musulmano, di cui il principe era temporaneamente ospite ad Ankara, in qualità di ostaggio (1390-91). La «tentazione dell’Islam», in cui cadde il Paleologo e, a volte, di nuovo la Chiesa, è il collocare le «tre religioni del libro» su uno stesso piano omogeneo, sul quale discutere. Questo piano non esiste, secondo Besançon, perché l’islamismo non conosce il concetto ebraico dell’Alleanza; e non esiste, secondo Ratzinger perché l’islamismo non riconosce l’esistenza di una «ragione naturale», capace di cercare la verità indipendentemente dalla Rivelazione. Questa posizione, tipica di Tommaso d’Aquino (che fu detto, perciò, «il primo liberale della storia»), era già esposta nella più bella enciclica di Giovanni Paolo II: «Fede e ragione».
Con i musulmani coerenti non è possibile dialogare perché non ammettono, né una ragione naturale, né una libertà dell’uomo, sia pure intrinsecamente finite. Se l’Islam è preso sul serio la libertà dell’uomo non c’è, perché tutto ciò che l’uomo sembra fare è fatto direttamente da Dio, come Dio vuole. E non c’è ragione naturale perché quelle regolarità che osserviamo di fatto nella natura sono regolarità del volere di Dio, che potrebbe benissimo non seguirle (e, infatti, spesso non le segue).


Con i musulmani si potrebbe, al più, dialogare ad hominem. Ad esempio: «Voi dite che Dio è grande quando cadono le torri gemelle, ed è vero; ma Dio è grande anche quando l’armata turca è sconfitta a Lepanto», e così via. Si potrebbe dialogare così: ma sarebbe fatica sprecata.

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