I Nas nei ristoranti di Chinatown: verdure marce e uova ammuffite

Passati al setaccio i locali etnici: niente latte al veleno ma megamulte per la scarsa igiene

da Milano

«Buongiorno, siamo i Nas». I carabinieri arrivano di buon mattino nel ristorante di via Paolo Sarpi, nel cuore della Chinatown milanese. Il ristorante si chiama «Jin Yong» ed è uno di quelli che fanno cucina cinese davvero: pochi involtini primavera, e al loro posto intestino fritto, murena saltata, rane al tegamino, orecchi di maiale in salsa di soia. Il gestore, Hu Lifang, quando vede il tesserino, non se la prende. «A me i controlli stanno bene, ho la coscienza a posto, la mia cucina è aperta. Quello che non accetto è il casino che sta facendo la televisione, senza pensare che dietro a ogni ristorante cinese c'è una famiglia che lavora onestamente. Si crea un panico ingiustificato. Come quando sembrava che per colpa dei rifiuti di Napoli la mozzarella di bufala fosse diventata improvvisamente velenosa».
Nel ristorante di Hu Lifang i carabinieri non lasciano un cassetto inesplorato. Perquisiscono la cucina, il magazzino, la cantina. Cercano latte alla melamina ma anche salse, dolci, lieviti, tutto il campionario di prodotti a rischio messi al bando dal ministero della Salute dopo l'allarme partito dalla Cina. Hu Lifang se la cava, tutto in regola. «D'altronde - spiega sua moglie - a noi dalla Cina non arriva quasi nulla, la spesa la facciamo alla Metro come tutti». Sarà. Ma anche all'«Hong Ni» di via Rosmini, all'altra estremità di Chinatown, la padrona spiega che «dalla Cina arriva al massimo l'anatra laccata». Però qui i carabinieri del Nas sono usciti con le mani nei capelli. Di latte alla melamina nessuna traccia (e peraltro, ancora l'altro ieri sera, il comando generale tranquillizzava l'Italia, nel senso che di latte killer per ora non ne è saltata fuori nemmeno una goccia in tutta la penisola). Ma del restante possibile campionario delle malefatte alimentari ne è stata censita una buona parte. Ed è arrivata la megamulta. Ma anche qui la signora protesta la sua innocenza, «quello che diamo da mangiare ai clienti lo mangiamo anche noi».
Proprio qui, alla fine, sta il problema che già si conosceva, e che in questi giorni convulsi, in questa ondata di controlli a tappeto, emerge con tutta chiarezza: perché a confronto ci sono culture igieniche e alimentari differenti, e ciò che fa inorridire noi è accettabile o addirittura apprezzabile per loro. Certo, il latte alla melamina è velenoso anche per i cinesi. Ma tutto il resto? Quando, in uno dei controlli dei giorni scorsi, i carabinieri si sono imbattuti in una partita di uova ammuffite non hanno potuto trascurare il fatto che le «uova cento giorni», che un italiano non toccherebbe nemmeno, per i cinesi sono una ghiottoneria.
A tutto c’è un limite, però, e la legge, come è giusto, vale per tutti.

Quindi, quando in un altro ristorante saltano fuori le frittelle avvolte nella Gazzetta dello sport («ci potevi leggere i titoli delle partite») scattano le multe. E multe a raffica per le verdure marce, le cucine luride, i cibi ammuffiti. Però - ad essere onesti - di malefatte simili i Nas ne scovano anche nelle cucine di italianissimi ristoranti che stanno sulla Michelin.

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