I «nemici del popolo» che difendono lo Stato

La Repubblica italiana non è certo uno Stato di polizia, ma sta diventando uno Stato di non polizia, cioè un non Stato. Da tempo esiste il concetto che le manifestazioni sindacali o locali possono condurre all’interruzione parziale o totale dei mezzi di trasporto.
Questo fatto ha una radice profonda nello smarrimento dell’identità nazionale nel passaggio dal fronte fascista a quello antifascista nell’ultimo periodo della seconda guerra mondiale. In quella circostanza avvenne la morte del Risorgimento e quindi del suo frutto d’identità dell’Italia come nazione Stato.
L’emersione storica propria delle due grandi forme antifasciste, quella cattolica e quella marxista, avvenne in nome della contrapposizione tra democrazia e Stato liberale. Ma con ciò cadde anche il fondamento della nazione, che venne risolta dai cattolici nel concetto di popolo e dai marxisti nel concetto di classe. Popolo e classe non erano, come la nazione, funzionali al concetto dello Stato, ma rappresentavano una legittimità ulteriore che si poteva contrapporre alla legalità vigente. La legge sullo sciopero, nonostante il precetto costituzionale, non fu mai attuata né richiese di essere attuata dai democristiani o dai comunisti. Ne veniva che era possibile che una protesta locale o sindacale giungesse ad atti illegali come l’occupazione delle vie di comunicazione per qualsiasi motivo, sindacale o sociale, e fosse giudicato utile dai democristiani e dai comunisti. La legalità non fu perciò considerata un bene assoluto da difendere, ma solo una protezione debita finché non fosse compatibile una protesta sociale decisa a violare la legalità a tutela dell’interesse sociale emergente, fosse esso di classe e di popolo, o di ambedue. Ne viene che in Italia esiste qualcosa come un diritto all’insurrezione puntuale e moderata ed anche il fatto che la polizia può divenire rappresentante dello Stato, ma priva di quella legittimità che le è offerta dalla classe e dal popolo.
La polizia così in Italia è diventata una figura avversa e questo avviene chiaramente nel caso del G8 del 2001. Ne viene ora un processo della magistratura contro i poliziotti promossa da testimonianze di dirigenti di polizia. Si dimentica del tutto che la città fu consegnata per tre giorni alla violenza che occupò le strade, sfasciò negozi e banche, e si pose in nome dei movimenti come partito dell’insurrezione continua e puntuale. Le opere dei militanti del G8 a Genova non sono oggetto di indagine della magistratura, ma lo è soltanto l’azione delle forze di polizia. E questo corrisponde all’ideologia costituzionale italiana per cui popolo e classe esorbitano sullo Stato e possono giustificare azioni popolari contro ciò che rappresenta lo Stato nella sua forma più determinata, cioè la struttura della polizia.
Ora pare che un nuovo processo contro la polizia debba prendere forma per gli incidenti della manifestazione No Tav in Val di Susa. Quando masse di dimostranti occupano il suolo pubblico, destinato a opere pubbliche, può la polizia difendersi con la carica? A questo si ricorse pochissimo in Val di Susa, in cui la maggior parte dei poliziotti furono oggetto di insulti e lancio di oggetti da parte dei manifestanti.
La polizia è vista come il nemico dei diritti del popolo e della classe e quindi censurata ogni qualvolta tenta di imporre la legalità come il bene principale dello Stato. Pare che le forze dell’ordine in Val di Susa siano accusate di avere, con la carica, nuociuto all’immagine della Repubblica. Ciò vuol dire che la Repubblica non tutela né i diritti né la legge. E questo significa una sola cosa: che il Risorgimento è morto e l’Italia come nazione è finita. Esiste il sindacale e il locale, il bene comune è al massimo sentito come regionale. Verranno nei prossimi giorni celebrati i ricordi del G8 del 2001 con una grande manifestazione dei no global ancora una volta nella città di Genova. Ciò mostrerà che la Repubblica non si fonda sui diritti dei cittadini, ma sui diritti delle piccole masse sociali in protesta. Anche gli operai napoletani hanno bloccato per più di dieci ore la via ferroviaria tra Nord e Sud, perché le ferrovie gli avevano tolto il permesso di non pagare il biglietto da Roma per Milano. La polizia era alla stazione Tiburtina in tenuta antisommossa, ma si limitava a guardare.

Forse le ferrovie hanno ceduto e il blocco ferroviario nord-sud sulla linea tirrenica poté riaprire. Ma il diritto dello Stato alla sua autorità e del cittadino alla legalità, ambedue fondamenti della democrazia, giacevano in pezzi alla stazione Tiburtina.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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