I nuovi poveri dormono a Linate: «Se non disturbi ti lasciano stare»

Se non fosse per le scarpe consumate e senza lacci, Angelo sarebbe davvero impeccabile. E a guardarlo così, vestito in giacca e camicia, mentre sfoglia il giornale con gli occhiali sul naso, seduto davanti al check in, sembra proprio uno di quei distinti signori in partenza per una città d’arte o per un viaggio di cultura. I capelli bianchi e il viso ben curato, un ombrellino verde per qualsiasi imprevisto e un borsello color panna come bagaglio a mano da custodire gelosamente. Che disgrazia sarebbe dimenticarselo da qualche parte. Solo lui sa quanto vale quello che c’è lì dentro, perché è tutta la sua casa.
Benvenuti all’aeroporto di Linate, settore «Partenze», secondo piano, area B. Benvenuti nel luogo dove ogni sera Angelo, Marco, Giovanni, Andrea, Vincenzo, Antonio (nomi di fantasia) - e chissà quanti ancora - vengono a trascorrere la notte. Sono loro i viaggiatori che non partono mai e che hanno trasformato le sale d’attesa in un rifugio sicuro, quelli che a vederli da lontano in mezzo alla gente, non si distinguono dagli altri passeggeri. Che arrivano con l’ultima corsa della 73 da piazza San Babila con il trolley, una sacca sottobraccio o una borsa a tracolla e aspettano che i turisti se ne vadano per potersi concedere qualche ora di sonno.
Come Michele, 61 anni, di Novara che dorme qui da qualche tempo. «Le poltrone più comode sono queste al secondo piano», confessa mentre con una mano controlla che ci sia ancora la sua borsa. «Ci metto dentro lo spazzolino, il dentifricio, una maglietta e il cambio per domani mattina». Già perché domani mattina - prima delle 6 s’intende -, Michele si sveglia, va in bagno, si lava e si prepara per andare via. «Se fai tutto con discrezione e non disturbi, ti lasciano stare». Questo è il segreto, sussurra. Prima di arrivare a Linate, faceva il restauratore di mobili antichi. Poi gli affari hanno iniziato ad andare male e nel giro di qualche anno ha dovuto lasciare la casa. «Ogni tanto riesco a fare qualcosa e allora riesco a pagare un affittacamere». Altrimenti viene in aeroporto, sempre meglio che in strada, dice lui. «Per la luce basta mettersi una sciarpa sugli occhi. Non pensare mica che la gente venga a dormire solo qui: lo fanno anche a Malpensa, al Marco Polo, ad Atene, a Francoforte e al Kennedy. Te capì?». Ha girato parecchio, è un uomo di mondo, Michele.
Marco invece viene dalla Basilicata e ha 68 anni. «Dormi anche tu qui stanotte?», domanda mentre cammina con passo deciso fra la gente che è appena sbarcata. Lui è uno dei veterani di Linate, sono sei anni che passa ogni notte all’aeroporto. Da quando è fallita l’impresa che aveva messo in piedi insieme ad altri soci. «Negli anni ’70 guadagnavo un milione al giorno, poi è finito tutto. Mia moglie e i figli se ne sono andati e io sono rimasto in mezzo alla strada». Marco conosce questo posto meglio di chiunque altro. Sa già che stanno costruendo una parte nuova, con nuove poltrone e grandi comfort. «Ci hanno chiesto se eravamo d’accordo sull’arredamento», dice ridendo. Prima di avviarsi verso la sezione «Arrivi», si ferma a controllare i monitor dei voli, come se dovesse partire davvero, e poi guarda se c’è già qualcuno dei suoi. «Di fissi saremo una decina. Ci arrivi per passaparola, ormai siamo una comunità». Apre la valigia, e tira fuori una busta con due magliette bianche pulite, un kit con le medicine e una coperta. Il resto della sua roba è in giro nei vari depositi del Comune. «Prima stavo ai dormitori pubblici, ma non andava bene. A me piace l’igiene, non voglio mica una suite, ma nemmeno una fogna».
E poi c’è Giovanni, il Gambler. «Sì insomma: il giocatore d’azzardo professionista», racconta mentre sistema il suo trolley nero e una sacca con la cena per tutti gli altri viaggiatori come lui. A 20 anni si è chiesto cosa volesse dalla vita: i soldi, si è risposto, ma quelli veri, con la esse maiuscola.

«Ho un cervello matematico, mi sono messo a studiare le tecniche di gioco e sono andato a Sanremo. E così ho iniziato a vincere, facevo la vita del miliardario». Poi si è dovuto fermare per una malattia da stress, e ha perso tutto. «Ma al casinò sono sempre un vincente», giura il Gambler.

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