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Per i nuovi ricchi è sempre l’epoca del Gattopardo

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La differenza tra la società aperta e dinamica e la società chiusa e statica è tutta nelle biografie dei ricchi. Quelli del primo tipo di società tengono a sottolineare nelle loro biografie di aver iniziato dal nulla. C’è chi ha distribuito i giornali nelle case, chi ha avviato l’attività in uno sgabuzzino, chi ha fatto il venditore ambulante e via di seguito. Ed anche chi è nato «bene» tiene sempre a mettere in evidenza di aver messo a frutto le proprie capacità per potenziare al massimo l’azienda avuta in eredità o di aver saputo con il proprio acume moltiplicare il patrimonio di famiglia. Nel secondo tipo di società, quella chiusa e statica, i milionari che contano fanno l’esatto contrario. Chi è partito da zero tenta con ogni mezzo di nasconderlo. E magari s’inventa una qualche discendenza capace di garantirgli un quarto di nobiltà necessario a farlo entrare nei «salotti buoni». Chi ha invece ereditato un nome costruito da qualche capitalista antenato o da qualche munifico mecenate, ostenta il blasone come se avesse avuto una investitura divina destinata a durare e valere per l’eternità. Soprattutto se nel frattempo la fortuna è in calo e il patrimonio tende a sgretolarsi. Si dirà che questi due tipi di società nascono da storie e valori diversi. Alla base di quella aperta e dinamica c’è la convinzione umanistica dell’uomo artefice della propria fortuna e quella protestante del successo come lode del Signore. Nel fondo di quella chiusa e statica c’è invece la doppia idea che il ricco passa difficilmente per la cruna dell’ago e che dietro ogni ricchezza si nasconde sempre qualche atto criminale.
La distinzione, ovviamente, non è mai così netta. Anche perché i nuovi fenomeni economici, politici e sociali in atto nel pianeta non consentono più divisioni e separazioni. La società italiana, ad esempio, per tanto tempo blindata da una cultura catto-comunista che sembrava fatta apposta per favorire l’accordo tra le grandi famiglie industriali e la nomenklatura dei partiti e dei sindacati della sinistra e criminalizzare gli «uomini nuovi» estranei a queste intese, mostra crepe provocate dalla globalizzazione, dal super-euro, dal tramonto del settore manifatturiero e dal trionfo dei servizi, della finanza e dell’immobiliare. E in queste crepe s’infilano i nuovi «ricchi» provenienti dal nulla che tentano di scalzare i nobili squattrinati abbarbicati ai loro salotti buoni del passato. Il fenomeno non è nuovo. A suo tempo lo ha spiegato perfettamente «Il Gattopardo». Adesso lo fotografano quotidianamente le cronache economiche, finanziarie e mondane dei quotidiani nazionali. I Ricucci, i Coppola, gli Statuto e tutti i finanzieri e gli immobiliaristi sono all’assalto delle roccaforti della nobiltà economica formatasi in passato alla corte della diarchia Agnelli-Cuccia. Sul fronte opposto sono attestati i rampolli delle vecchie famiglie ed i loro «amici» di affari e di politica decisi a difendere con le unghie e con i denti i privilegi del passato.
In tempi passati il conflitto tra la nobiltà declinante e la borghesia rampante si risolveva con i matrimoni e con la rivitalizzazione dei diafani blasoni con sangue e soldi nuovi. Ma è ancora presto perché i Ricucci, i Coppola e gli Statuto possano imparentarsi con gli Agnelli, i Pirelli o i Montezemolo. Così, in attesa che i moderni principi di Salina invitino nei loro saloni i palazzinari, questi ultimi si arrangiano come possono. Ricucci punta al bersaglio grosso del Corriere della Sera.

Coppola, più modestamente, si è accontentato di diventare amico di Gad Lerner, un tempo intimo dell’Avvocato, convincendolo a scrivere che «non saranno i patti di sindacato fra i soliti noti, fragili e indebitati, a garantirci un futuro migliore». Come dire che la si può rigirare come si vuole ma sempre al Gattopardo si ritorna!

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