I Paesi emergenti nel mirino di lusso e moda Boselli (Cnmi): «Ci salverà la tradizione»

A salvare il made in Italy dalla crisi saranno la tradizione e i mercati emergenti. Tra un passato più vivo che mai e un futuro che è già presente, la moda e il lusso sono a un bivio epocale: «Una sorta di nuovo 11 settembre», ha spiegato Carlo Pambianco, al convegno milanese dedicato alle strategie del settore. I numeri, ha messo in chiaro subito Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo, sono tutt’altro che incoraggianti: nei primi otto mesi del 2008 il fatturato è calato del 6,5% nel tessile e del 3,6% nella pelle, mentre l’abbigliamento è rimasto stabile (più 0,3%). I consumi italiani del settore sono scesi (meno 4,4% a prezzi costanti nel primo semestre), ma le esportazioni hanno tenuto, grazie ai risultati ancora positivi verso i Paesi extraeuropei, guadagnando l’1,4% sui primi otto mesi del 2007. E ai Paesi emergenti come ancora di salvezza per i consumi di lusso hanno fatto riferimento tutti gli imprenditori presenti: da Patrizio Bertelli, patron di Prada, a Michele Norsa, ad di Ferragamo, due gruppi che avevano in progetto la quotazione, ora in stand by a causa dell’andamento dei mercati. Ma la pensa allo stesso modo chi in Borsa c’è già, come Giovanni Burani o Mario Moretti Polegato. «Alla tecnologia innovativa delle nostre calzature abbiamo abbinato la moda e la qualità italiana - ricorda il numero uno di Geox -. E questo è un vantaggio competitivo non solo nel nostro Paese, ma in tutto il mondo, che nessuna crisi può cancellare. Naturalmente ora è necessario far ripartire i consumi: che sia attraverso la detassazione delle tredicesime o altre misure non importa, purché nelle tasche dei consumatori rimanga qualcosa da destinare a questo tipo di acquisti».


Certo, la selezione sarà inevitabile, come ha ricordato il presidente della Camera della moda, Mario Boselli, anche se la crisi potrebbe durare meno di certe previsioni, grazie al cambio euro-dollaro tornato inaspettatamente a livelli assai più favorevoli per le nostre esportazioni: e a quel punto «l’aspetto più tradizionale della nostra economia, a volte criticato come retrogrado, farà la differenza - ha detto Boselli - quando si dovrà ripartire da un nuovo sano equilibrio tra il secondario produttivo e una finanza virtuosa». Non per nulla «gli impieghi economici, cioè il supporto alle imprese, nell’ultimo anno sono cresciuti di oltre il 10%», ha ricordato il direttore della divisione Investment Banking di Intesa Sanpaolo, Gaetano Miccichè.

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