I pm contestano la prognosi del Cav «Nessun rinvio, risponda ai giudici»

PRETESA Per la Procura i 25 giorni di riposo non costituiscono «legittimo impedimento». Ma il giudice concede la proroga

Milano Per la Procura della Repubblica di Milano lo stato di salute di Silvio Berlusconi in seguito all’aggressione in piazza del Duomo non costituisce un «legittimo impedimento» tale da non consentire al premier di adempiere i suoi doveri istituzionali. A sostenerlo ieri mattina, nell’aula dell’udienza preliminare per l’affare Telecom, è il pubblico ministero Stefano Civardi, che insiste perché non vengano sospesi i termini che la legge concede al presidente del Consiglio per esprimersi sulla sussistenza del segreto di Stato. Secondo la Procura, i venticinque giorni di prognosi stilati dai medici curanti del premier non sono motivo sufficiente per concedere il rinvio. Ma la linea della Procura esce sconfitta. Dopo uno scambio di battute piuttosto aspro, il giudice Mariolina Panasiti taglia corto: il premier è malato, il processo può attendere.
Per opporsi alla dilazione dei tempi, il pm Civardi aveva sostenuto anche che le figure del presidente del Consiglio e di Silvio Berlusconi non sono sovrapponibili, e quindi la presidenza del Consiglio poteva adempiere ai suoi compiti anche in assenza del titolare. Ma a rendere impraticabile questa tesi - ha ritenuto il giudice - è la estrema delicatezza del compito cui la legge chiama in questi casi il premier, e che non può essere delegato a un collaboratore. E non si può pretendere che un presidente del Consiglio uscito così malconcio dalla aggressione si dedichi come se niente fosse a sciogliere il nodo.
A chiamare in causa Berlusconi nel processo era stata la stessa giudice Panasiti, dopo la mossa a sorpresa compiuta il 2 ottobre da uno degli imputati, lo 007 Marco Mancini. Mancini, capo del controspionaggio del Sismi (l’attuale Aise), è accusato di avere fornito materiale riservato di provenienza Sismi all’investigatore privato Emanuele Cipriani, che lo avrebbe poi girato alla divisione security di Telecom, guidata allora da Giuliano Tavaroli.
Mancini ha sempre contestato che i dossier arrivati a Telecom provenissero davvero dalla nostra intelligence. Ma ha aggiunto qualcosa di più: per difendermi compiutamente, ha detto, dovrei spiegare compiutamente quali rapporti intercorrevano in quegli anni tra i nostri servizi segreti e la Telecom. Questa materia, dice Marco Mancini, è però coperta da segreto di Stato. Si tratta, come appare evidente, di un tema estremamente delicato. Da sempre gli apparati dell’intelligence hanno contatti operativi con le compagnie telefoniche, ma rivelare l’esatto contenuto di questi legami e le possibilità operative che consentono ai nostri 007 rischierebbe di danneggiare la sicurezza del paese. Nel caso specifico, poi, ci sono operazioni sotto copertura che sia Tavaroli che Cipriani avrebbero svolto per conto del Sismi negli anni passati, e che Mancini considera anch’esse coperte da segreto.
In base all’articolo 202 del codice di procedura penale, quando un agente segreto o un altro pubblico ufficiale invoca il segreto di Stato, «il giudice ne informa il presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che ne sia data conferma. Ove, entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta, il presidente del Consiglio non dia conferma del segreto, il giudice ordina che il testimone deponga».

Questa è la procedura che è stata avviata nel corso dell’udienza Telecom, e il giudice era in attesa della risposta di Berlusconi. L’agguato di domenica scorsa costringe a bloccare tutto: ai sessanta giorni previsti dal codice vanno aggiunti i venticinque giorni di prognosi del premier, stabilisce il giudice. Ci si rivede il prossimo 1° febbraio.

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