I pm di Milano ko dopo l’ultimo assalto al premier

L’ESCLUSO L’avvocato Pace: «Più spiragli per ribaltare la sentenza del 2004. La vedo male»

RomaPer Alessandro Pace è un brutto colpo. E un segnale preoccupante. La Corte costituzionale non ammette la Procura di Milano come parte nella causa sul Lodo Alfano. Il presidente dei costituzionalisti non può tenere la sua arringa contro lo scudo che sospende i processi per le 4 massime cariche dello Stato e sfuma così l’ultimo attacco al premier dei pm meneghini. Pace è amareggiato, mentre raccoglie le sue carte e lascia la settecentesca sala gialla del palazzo. «La vedo male - confessa -. Ci sono più spiragli che venga ribaltata la sentenza del 2004». Insomma, teme che stavolta non ci sia una bocciatura, come per il Lodo Schifani. «D’altra parte - attacca - se questi giudici sono riusciti a fare la sentenza che hanno fatto sul caso Abu Omar, possono fare di tutto». Anche in quel caso fu dato torto alla Procura di Milano, mantenendo il segreto di Stato sulle detenzioni clandestine di sospetti terroristi (extraordinary renditions).
Potrebbe essere oggi il giorno del verdetto della Consulta. Dopo la lunga udienza pubblica, in cui sono state illustrate altre 5 cause, i 15 giudici costituzionali si sono riuniti alle 17.30 in camera di consiglio e hanno esaminato fino alle 19.30 le questioni preliminari, come l’ammissibilità dei tre ricorsi e gli aspetti formali. Un primo giro d’orizzonte ma, rivelano dal Palazzo, «ancora nessuno si è scoperto». Né ha chiesto un rinvio per studiare le carte.
Nella riunione segreta che inizia oggi alle 9, però, il collegio entrerà nel merito e in serata si potrebbe arrivare alla decisione. Al massimo, si proseguirà domani mattina per concludere prima della partenza del presidente e di alcuni giudici per un incontro internazionale a Lisbona.
Ieri, quella di Pace sarebbe stata l’unica voce nell’udienza a favore dell’illegittimità costituzionale del Lodo, mentre la parola è andata solo ai legali di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, Gaetano Pecorella e Piero Longo e all’avvocato dello Stato Glauco Nori, in difesa del presidente del Consiglio.
Malgrado la dura reazione di Pace, il no alla costituzione della Procura sembrava scontato. «C’è una ultradecennale giurisprudenza dell’Alta Corte - spiega un giudice - in questo senso. E un’inversione di tendenza di 180 gradi era davvero impensabile. Anche se, a leggere bene l’ordinanza, in futuro la questione potrà essere diversamente discussa».
Il legale dei pm di Milano, comunque, ha fatto di tutto. Nella memoria depositata ha affermato in modo categorico che nel processo l’accusa non è imparziale ma di parte, tanto da perseguire non «la verità», ma «una sua verità». «Un argomento che - commentano nelle stanze della Consulta - sarebbe buono a sostegno della riforma per la separazione delle carriere». Anche nell’intervento in udienza prima della decisione della Corte, Pace ha insistito sul fatto che il pm non è che una delle parti nel processo e quindi può sollevare l’eccezione di costituzionalità. Ma non ha convinto i 15 giudici in seicenteschi abiti neri con la candida piccola gorgiera.
La scena così è rimasta tutta al fronte opposto, che innanzitutto ha contestato la necessità di una legge costituzionale. Per Ghedini «con le stesse pietre si può costruire un carcere o una chiesa» e con le dovute modifiche da una legge incostituzionale come il Lodo Schifani può nascere un «edificio costituzionalmente resistente». Inoltre, «la legge è uguale per tutti ma non lo è necessariamente la sua applicazione». Il premier, aggiunge Pecorella, dopo la nuova legge elettorale non è assimilabile ai ministri, è «primus super pares», il «solo organo costituzionale che riceve la sua investitura dalla volontà popolare». Né è contestabile l’automatismo dello scudo che non prevede un filtro parlamentare, perché non è a vita (come ha sostenuto il politologo Giovanni Sartori), ma limitato a un solo mandato, non reiterabile e rinunciabile. Longo ha sostenuto il diritto di difesa del premier: «Non si può vestire contemporaneamente l’abito di imputato e di alta carica dello Stato». Nori ha risposto all’accusa che l’Avvocatura dello Stato volesse condizionare la Consulta, evocando il rischio dimissioni di Berlusconi. «Ho parlato di “danni irreparabili” e ci sono state ricostruzioni fantasiose. Mi riferivo al fatto che il premier non può trascurare le funzioni di governo.

Il problema è reale e cancellando il Lodo mancherebbe una soluzione. Abbiamo difeso una norma prodotto dell’attività legislativa del Parlamento». Poi ha criticato ex presidenti della Consulta che hanno già giudicato il Lodo.

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