Ennio Peres, laurea in matematica e una carriera tutta dedicata ai giochi (è autore di svariati libri sul tema), tanto da coniare per sé stesso il termine di «giocologo», snocciola senza sosta nomi di grandi menti contemporanee appassionate di giochi o enigmistica. «Umberto Eco, John Nash, Mario Soldati».
Ma allora lo stereotipo del genio ombroso, sempre corrucciato nel seguire il filo dei propri pensieri, è un falso?
«No. È, per lappunto, solo uno stereotipo. Tra i cosiddetti geni, oggi come nel passato, il gioco è prassi comune. Sì, potremmo proprio dire spesso accademici e scienziati sono dei gran giocherelloni (una precisazione: intendo solo passatempi di concetto, sia di enigmistica pura che di derivazione matematica. Escludo dal termine "giochi" tutti i giochi dazzardo e i videogame)».
Perché?
«Non cè una spiegazione. Semplicemente anche loro, come tutti, hanno bisogno di staccare dalle normali attività. Distogliere il cervello, senza però spegnerlo. I geni rimangono spesso, anche nel gioco, allinterno del loro campo dattività».
Cioè?
«Per esempio Roberto Benigni si dedica alle sfide "allottava rima" (gare a due di improvvisazione poetica) o il matematico statunitense Nash, premio Nobel per leconomia, arrivò addirittura a inventarsi lui stesso un gioco di strategia, lHex. O il semiologo Umberto Eco, che di sera gareggia con i suoi amici a indovinare la parola segreta del gioco finale, chiamato "la ghigliottina", della trasmissione preserale di Raiuno».
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