da Milano
L’ultima notizia è che a febbraio in Italia non ci saranno più pane e pasta. Avete capito bene: proprio come nella Francia sull’orlo della rivoluzione, quando l’improvvida Maria Antonietta propose al popolo di nutrirsi a brioche. Oggi l’allarme arriva direttamente dalla Coldiretti: nei magazzini le scorte di grano basteranno solo per i prossimi 7 mesi, e il raccolto per quest’anno è finito. «Non è più una prerogativa da Terzo Mondo, i crampi allo stomaco si fanno sentire anche in Italia», conferma l’Unità. In attesa del definitivo tracollo della dieta mediterranea, l’unica cosa sicura è che quella 2008 sarà ricordata come la grande estate dei catastrofisti: intellettuali e scienziati, politici e antipolitici, di destra e di sinistra. Un club trasversale e chic, fedele a un unico dogma: rien ne va plus, non c’è più niente da fare.
L’associazione degli agricoltori, a dire il vero, una proposta la fa: «Garantirsi una propria riserva strategica di prodotti alimentari di base per stabilizzare il mercato interno e assicurare gli approvvigionamenti». Insomma, meglio correre al supermercato e riempire la credenza di fusilli e bucatini. Non sarebbe la prima volta. Ci siamo già messi in coda alla vigilia del 2000. All’epoca doveva essere il Millenium Bug, il famigerato (e inesistente) «verme solitario informatico» a toglierci il pane di bocca.
La «Premiata Ditta Spavento e Patema», come la chiama il Foglio, non teme smentite. Prendete il caro petrolio: se 147 dollari al barile vi sembran pochi, potete rivolgervi a mister Charles T. Maxwell, laureato dai giornali «il numero uno tra gli analisti dei mercati petroliferi». Ebbene, assicura il guru, «l’oro nero volerà a 300 dollari, e provocherà una crisi finanziaria globale». Quando, tutto questo? «Inizierà tra il 2010 e il 2015, e durerà tra i 10 e i 12 anni». Se non vi convince, chiedete conferma a Colin Campbell, anche lui «massimo esperto mondiale di petrolio». Nessun dubbio, «la benzina finirà fra tre anni». In passato l’aveva già detto altre volte: nel 1999, 1992 e nel 1986.
Il dialogo sulle riforme non decolla? Per mettere d’accordo maggioranza e opposizione, e perfino D’Alema e Veltroni, basta farli esternare sull’apocalisse imminente. «L’Italia vive la crisi più drammatica dal Dopoguerra in poi», annuncia il segretario Pd. «Il fatto è che l’enormità della crisi del Paese viene sottovalutata» concorda Massimo, che quando era lìder, cioè premier, arringava gli imprenditori citando quell’inguaribile ottimista di Guizot: «Enrichissez-Vous!», «Arricchitevi!». Eppure correva l’anno 1998, e non è che il Pil volasse. Adesso pure Giulio Tremonti fa il Laocoonte, veggente troiano finito malissimo: «Al contrario di altri, per tempo parlai dei rischi di un nuovo ’29». Poi c’è Antonio Di Pietro, come sempre più avanti di tutti: coltivando la sua masseria a Montenero di Bisaccia, si è già garantito l’autosussistenza.
Chiediamo consiglio a Beppe Grillo. «Non comprate immobili, non fate debiti, non accendete nuovi mutui, se potete estinguete i mutui che avete, non comprate titoli di società immobiliari, non comprate fondi con titoli di società immobiliari», scrive sul suo blog. Resta una curiosità: i 4.272.591 euro che ha guadagnato nel 2005, come li ha investiti? Questo non lo scrive. Intanto i grillini sul blog incalzano: «Beppe potresti meritarti un posto nella storia d’Italia!!!». Proprio così: «Rivoluzione! Rivoluzione! Rivoluzione!».
Va bene, direte voi: a quest’ora dovevamo già essere tutti morti ammazzati dal buco dell’ozono, dall’antrace e dall’influenza aviaria. O, banalmente, per colpa della fine del mondo, fissata dai Testimoni di Geova nel 1914, nel 1915, nel 1955 e nel 1975. Magari stavolta non moriremo tutti di fame. Invece c’è poco da ridere. Gli economisti lo sanno bene: il rischio si chiama «Profezia che si autoadempie», l’ha formulato per la prima volta il sociologo americano Robert K. Merton nel lontano 1948: «Se esiste una convinzione diffusa che sia imminente un crollo, gli investitori possono perdere fiducia, vendere le loro azioni, e causare realmente il crollo – ha scritto Merton –. Oppure, se un candidato in una elezione dichiara apertamente che non crede di poter vincere, ciò può causare un aumento dell’apatia degli elettori che provoca uno scarso appoggio». Lo sa bene pure Eugenio Scalfari, che alla vigilia delle elezioni è andato in tv da Lucia Annunziata per annunciare che – «in base ad alcune conversazioni private» con «i migliori sondaggisti, i più seri» – si era convinto che Veltroni alla fine avrebbe vinto.
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