I profeti di «Vaffankrisi!» «L’Italia non può fallire»

Marco Fratini e Lorenzo Marconi hanno scritto Vaffanbanka! nel 2008 e Vaffankrisi! nel 2009, ma i loro libri non avevano previsto che nel 2011 affank..., o più elegantemente in affanno, ci sarebbero andati addirittura gli Stati. Eppure le capacità divinatorie del duo restano fuori discussione: basti pensare che il loro primo saggio uscì lo stesso giorno in cui la Lehman Brothers dichiarò la bancarotta. A marzo credevano d’aver individuato il rimedio, sempre sotto forma di libro: Mutande di ghisa. Adesso, trascorsi appena cinque mesi, anche Fratini e Marconi devono ammettere che nemmeno l’intimo siderurgico riuscirà a proteggerci le terga dalla crisi globale. Per rimanere alle immagini colorite, direi che la notizia buona è questa: dopo anni di caviale e champagne, gli italiani dovranno rassegnarsi a mangiare un po’ di quella robina color marron cantata da Mina nel 1977, sia pure continuando a raccoglierla con un cucchiaino d’argento. La notizia cattiva è che non ce ne sarà per tutti.
«Vorremmo tuttavia ricordare che già due anni fa, nella rubrica Le buone azioni che dal 2002 teniamo ogni settimana su Oggi, avevamo anticipato con chiarezza che i timori si sarebbero spostati dalle banche alla tenuta degli Stati», si difendono i bestselleristi della crisi. «Dopo il Giappone, siamo il secondo Paese più indebitato dei G20. Finora ci era sempre andata benissimo, potevamo considerarci i veri professionisti del debito pubblico. Poi c’è stato il patatrac di Eurolandia. Ma, se uno ci ragiona bene, l’Italia non è la Grecia, che possiede solo le olive e il Partenone. Noi abbiamo Giorgio Armani e la Ferrari, esportiamo in tutto il mondo».
Nonostante il prodromico salame rinsecchito che tiene appeso all’orologio in redazione, si vede subito che Fratini, caporedattore economia del Tg La7 diretto da Enrico Mentana, è fiducioso nel futuro. Altrimenti non avrebbe accanto alla scrivania un calcetto e la lavagna su cui segnare, anziché gli indici di Borsa, i risultati del torneo disputato con i colleghi nella pausa pranzo. Romano all’anagrafe, orvietano d’origini e milanese per necessità, è forse l’unico giornalista ad aver mollato un posto da redattore ordinario (al Giorno) per andare con due contratti a termine in Rai (al Tg3) a imparare come si fa la televisione. Subito fu notato da Massimo Donelli, che lo arruolò per la nascente Tv satellitare del Sole 24 Ore.
Anche Lorenzo Marconi, 49 anni, valtellinese residente a Milano, sotto sotto dev’essere un ottimista. Analista finanziario, ha sempre lavorato come consulente per le banche. Solo che, invece di affidare i suoi risparmi agli istituti di credito, ha preferito investirli nella creazione di una catena di gelaterie artigianali, Le botteghe di Leonardo, che hanno già aperto due negozi a Milano, uno ad Altedo (Bologna) e uno a Firenze. Probabilmente aveva ben presente la lezione che Carlo Collodi dettò fin dal 1883 nelle Avventure di Pinocchio: «Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o sono imbroglioni!».
Quando avete avuto la percezione che sarebbe finita male?
Fratini: «Fin dal 2004. Bastava entrare in una banca e vedere che cosa ti offrivano. Siamo stati fra i primi a pronosticare il crack Parmalat».
Marconi: «Dagli anni Novanta le banche hanno scoperto i budget di divisione, per cui sotto la scrivania di ogni addetto commerciale c’è uno scatolone con dentro i prodotti di ingegneria finanziaria da vendere, quelli che nell’ultimo decennio hanno fatto più danni dell’uragano Irene».
Ma perché proprio ora questa crisi improvvisa quanto drammatica? Com’è stato possibile apprendere dal tiggì, all’ora di pranzo, che persino gli Stati Uniti erano prossimi al default?
«Perché non ci hanno mai detto niente. Come nel fallimento Lehman Brothers: c’era in atto uno tsunami e siamo rimasti ad aspettare l’onda con gli ombrelloni aperti, le sdraio e gli asciugamani».
Fratini: «La regola è: il popolo meno ne sa meglio sta e da ignorante è ottimo cliente. Ma i meccanismi che ci stavano mandando a fondo erano evidentissimi. Jean-Paul Fitoussi lo confessò due anni fa al Festival dell’economia di Trento: “Noi economisti non abbiamo suonato la campana dell’ultimo giro, non abbiamo dato l’allarme, perché siamo schiavi del pensiero dominante”. Sconvolgente».
In Mutande di ghisa mettete in guardia dalle seduzioni del mercato che vuol farci comprare anche ciò di cui non abbiamo bisogno. In effetti una norma saggia, ma poco rispettata, consiglierebbe di spendere meno di quanto si guadagna. Poi però dite che non si esce dalla crisi se non ripartono i consumi e la crescita. E allora non ci capisco più nulla.
Marconi: «Mettiamo in guardia dagli acquisti d’impulso. Il nemico numero 1 è il cervello. L’emotività fa compiere gli errori più grossi anche nelle scelte finanziarie. La gente investe seguendo le mode».
Fratini: «La crescita come si favorisce? È mai possibile che fino a pochi anni fa si distribuissero bonus per far restare gli anziani in ufficio o in fabbrica, ma nessuno abbia mai pensato di istituire le borse di lavoro, anziché le borse di studio, per cui i giovani vengono assunti, possono fare il mutuo per comprarsi un alloggio, acquistano un frigorifero e cercano di riempirlo? È vero che l’Italia è stata salvata dai nonni, che hanno dato i loro risparmi ai nipoti perché potessero continuare a pagare le rate della casa. Ma un Paese che punta solo sugli anziani muore».
Chi indossa mutande di ghisa dove tiene i suoi sudati risparmi in questo momento?
Marconi: «Sicuramente in banca. Ma non investiti in un unico strumento. Il cliente deve accettare il ruolo di diverso. Nessuno di noi è uguale a un altro. “Mio cugino compra le Canistracci Oil, le compro anch’io!”. Ma tu non prendi le pastiglie per la prostata che prende tuo cugino! Bisogna rifuggire dall’omologazione finanziaria. Ognuno deve diversificare in funzione dei propri obiettivi».
In concreto?
«Un po’ di risparmi finiranno sul conto per le uscite correnti, un po’ nei Bot perché ho una spesa da fare entro pochi mesi, un po’ in obbligazioni o fondi obbligazionari per difendermi dall’inflazione, un po’ nel capitale di rischio ben sapendo che si tratta di un investimento a lungo termine. Il guaio è che il cliente non accetta di fare il cliente. Noi andiamo dal medico ed eseguiamo alla lettera gli ordini che ci dà. In banca no: entriamo e vogliamo fare i banchieri».
Fratini: «Nelle nostre teste la Borsa è percepita come sporca e cattiva, qualcosa di separato dall’economia reale. Speculazione e basta. Invece dobbiamo smetterla con la convinzione paranoica che in giro per il mondo vi siano degli incappucciati che vendono le azioni per farci dispetto o derubarci. La Borsa non è un gioco. È un modello d’investimento in beni reali: chi compra un’azione compra un pezzo d’azienda, forse l’abbiamo dimenticato».
Il mattone è ancora consigliabile?
«A me piace tantissimo».
Marconi: «Dà senso di sicurezza, asseconda le nostra cultura contadina. Ma anche qui occorre equilibrio. La liquidabilità di un bene immobile non è così rapida come s’immagina. Inoltre se mi servono 10.000 euro e ho 50.000 euro in Cct, ne vendo una parte. Ma se ho un appartamento da 120.000 euro, non posso vendere due finestre e un cesso».
Esiste un luogo sicuro dove mettere il gruzzolo?
«Non è mai esistito. Fino allo scandalo Lehman Brothers la domanda era: quanto rischio di perdere? Oggi è: quanto rischio di perdere tutto? Abbiamo scoperto che anche le grandi banche falliscono. Negli ultimi tre anni negli Usa ne sono saltate circa 150. Ma prim’ancora, col default dell’Argentina, avevamo scoperto che possono fallire gli Stati. Dieci anni fa, dopo gli attentati dell’11 settembre, un intervistatore mi chiese: “La gente volerà ancora?”. La risposta è nei fatti: certo che vola ancora. Il mondo non finisce domani».
Fratini: «Se fra due anni la situazione fosse ancora questa, non dovremmo preoccuparci d’aver visto andare in fumo i risparmi sul conto corrente, i Bot e i Cct, ma chiederci, alzandoci dal letto la mattina, se c’è ancora la nostra scrivania in ufficio. Perdere soldi con un investimento poco azzeccato è nulla a confronto con questa prospettiva».
Da 1 a 10, quanto è probabile un reset generale che polverizzi i risparmi depositati nelle banche?
Marconi: «Zero».
Fratini: «Un prudente 1».
La legge «più rendimento, più rischio» vale sempre?
«Altroché, basta guardare lo spread dei Btp, lo scarto rispetto al tasso d’interesse offerto dai Bund tedeschi. I Buoni del Tesoro poliennali sono ad alto rischio. La Linea gotica è quella del 7 per cento. Se dovessero superarla, saremmo nelle condizioni di Irlanda, Grecia e Portogallo che sono stati costretti a chiedere aiuto all’Europa».
Allora anche i conti di deposito, che offrono più del 3 per cento lordo, sono ad alto rischio, visto che l’interesse sui conti correnti bancari è ridotto allo 0,010 per cento.
«Certo, sono prodotti finanziari non immuni da pericoli. L’importante è conoscerne il grado di rischio valutato dalle agenzie di rating, come Standard & Poor’s e Moody’s, che devono essere resi noti nei siti delle banche».
So di gente che tiene paccate di euro nelle banche, però nelle cassette di sicurezza. Il loro ragionamento è: «Se va a catafascio l’Italia, almeno salvo i bigliettoni da spendere in Germania».
«Sconsiglio vivamente, anzi di più, il materasso e anche la cassaforte di casa. Se poi uno è angosciato e vuole tenere una riserva di contante nel caveau di una banca, che dire? Purché gli funzioni da ansiolitico, faccia pure».
Ma l’Italia rischia la bancarotta?
«No, nel modo più assoluto. Ha solo bisogno di diventare più virtuosa. Il termine giusto è risveglio».
Fratini: «Rischia di restare quello che è: l’Italia. Una delle nostre condanne».
Sempre da 1 a 10, quanto è probabile la fine dell’euro?
Marconi: «Io gli do 2».
Fratini: «No, io a questo rischio assegno un punteggio più elevato: 4 o 5. Temo di ritrovarmi con un euro dei buoni e uno dei cattivi. E a noi spetterebbe di sicuro l’euro di serie B».
Come si cura una crisi globale di queste proporzioni?
«Con le regole e le persone giuste. Certo le regole non possono essere riscritte dalle persone che ci hanno ridotto in queste condizioni. Non è possibile che nel 2007, ultimo dato reale prima che i bilanci venissero aggiustati dal mago Silvan, 50 top manager italiani si siano messi in tasca emolumenti per oltre 300 milioni di euro. La proporzione fra il loro stipendio e quello di un neolaureato, che prima era di 23 a 1, è diventata di 150 a 1. Ma quale uomo, per quanto professionista capace, può valere 150 volte più di un altro? La crisi è frutto di un delirio umanissimo, non di un errore matematico. E poi serve il D-factor».
Sarebbe?
«Più donne ai vertici delle banche, delle imprese, delle istituzioni».
Perché denotano un tasso di moralità più elevato degli uomini?
«Un tasso di gestione del rischio più elevato. Le mamme sono come le leonesse che difendono i loro piccoli. Vanno evitati gli estremi: Angela Merkel e Nicole Minetti».
Marconi: «Bisogna cambiare le regole sui sistemi finanziari. Non è accettabile che si siano capovolti i ruoli, per cui oggi è la finanza che comanda sull’economia. E va riscritto così l’articolo 47 della Costituzione che tutela il risparmio: “Ogni cittadino è uguale di fronte alla banca, senza distinzioni di razza, ceto o conto corrente”».
Come si stanano gli evasori fiscali?
Fratini: «Villa per villa, condominio per condominio. Andando tutti i giorni a Porto Liscia, in Sardegna, a controllare i 50 yacht in rada, 40 dei quali battono bandiera straniera. Fermando in largo La Foppa, a Milano, tutti i proprietari di Porsche che la sera parcheggiano in doppia fila col contrassegno per handicappati. Sarei disposto ad accettare persino le ronde fiscali della Lega, pur di inchiodarli».
Marconi: «Gli evasori si stanano chiedendo lo scontrino fiscale. Durante le vacanze in Sicilia l’ho fatto: mi guardavano come se fossi un marziano. Serve un supplemento di senso civico. Quando il dentista a fine cure ti dice: “Sono 1.200 euro con fattura, oppure 900 senza fattura”, ognuno di noi ritrovi il coraggio di rispondere: “Con fattura, grazie”».


Il peggio è alle nostre spalle o deve ancora arrivare?
Fratini: «Sono convinto che vivremo nel peggio ancora per un po’».
Marconi: «Io direi nell’incertezza».
E mo’, Frattini, che titolo facciamo a quest’intervista?
«Un titolo, mmh... “Se tutto va bene, siamo rovinati”».
(559. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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