I registi piangono ma il cinema ride

Il cinema italiano sta benone. Non succedeva da tanto che la quota di mercato occupata dai nostri film (coproduzioni incluse) raggiungesse il 35 per cento, quasi dieci punti in più rispetto al pur positivo 2006. Lo dicono i dati, riferibili ai primi cinque mesi 2007, distribuiti ieri alla «Giornata professionale estate». Certo, buona parte del merito va a cinque-sei titoli di forte appeal popolare, ma la tendenza è chiara. E sorride anche il box-office complessivo: quasi 293 milioni di euro, al 31 maggio, rispetto ai 274 dell'anno scorso, con un incremento del 7.4 per cento. «I dati parlano chiaro, è una svolta epocale», si sbilancia Paolo Protti (Anec), sicuro che l'arrivo di blockbuster come I Fantastici 4 e Silver Surfer o il nuovo Harry Potter fortificherà la virtuosa congiuntura. L'obiettivo, in prospettiva, è raggiungere i 140 milioni di spettatori (oggi siamo a 110), il che ci avvicinerebbe alla Spagna. Naturalmente c'è un problema: d'estate i kolossal hollywoodiani funzionano, sono un fenomeno consolidato; latitano invece i film italiani capaci di esercitare un vero richiamo. «Bisogna rompere la diga, se ci fosse un comico alla De Sica pronto a uscire a luglio la rivoluzione sarebbe completa», ragiona Paolo Pozzi (Anica). D'accordo con Carlo Bernaschi (Anem), che plaude al ritorno di un cinema tricolore capace di fare grandi incassi: «Se i film sono validi la gente risponde, altro che programmazione obbligatoria».
Eppure i registi vedono nero. Proprio stamattina, nel quadro dell'incontro al Quirinale con i candidati ai David di Donatello, una delegazione dell'associazione «Centoautori», con Luchetti e Bellocchio in testa, consegnerà a Napolitano un preoccupato appello sulla situazione del cinema, con particolare riferimento alla nuova legge di sistema. Tira, insomma, aria di mobilitazione contro il governo Prodi, ritenuto troppo sensibile alle leggi del mercato, a scapito delle ragioni dell'arte. Tanto da far scrivere a Bertolucci, nel suo malinconico j'accuse su Repubblica: «Penso a un numero apparentemente sconsiderato di opere prime, un'infinità, una cavalcata di ricerca e di sperimentazione di autori nuovi».

Chi la finanzierà mai questa pioggia di debutti? Non si capisce, ma pare difficile che lo Stato, avendo serrato i cordoni della borsa dopo anni di finanza allegra, possa assecondare il sogno bertolucciano. Anche perché né Sky, né i gestori telefonici, tanto meno gli esercenti, sembrano per ora disposti a contribuire alla famosa «tassa di scopo» su tutta la filiera del cinema promessa dal ministro Rutelli.

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