I «repubblicones» e l’obamino dei poveri

Mio Dio signor Granzotto! Ma è dunque questa la politica italiana? È questa l’opposizione di sinistra? Famiglia Cristiana che parla di ritorno al fascismo, Veltroni ostaggio del suo stesso Partito democratico, Di Pietro che fa tintinnare le manette. Ma le idee, i programmi, la Politica con l’iniziale maiuscola, si può sapere dov’è andata a finire?


Certo che quell’uscita di don Sciortino, il prete che dirige Famiglia Cristiana, è davvero il segno che a sinistra non sanno più che pesci prendere. E allora riciclano i ferrivecchi dialettici, il fascismo che incombe, che allunga la sua ombra, armamentario che già ai tempi di Berlinguer era zuppa riscaldata, fessaggine di ritorno. No, non c’è gusto, non c’è partita: Berlusconi e il suo governo inanellano un successo via l’altro e per tutta risposta salta su un don Sciortino con la storia del fascismo. Ma si può? Comunque va bene così: forse non per un ventennio, come geme don Sciortino, ma per un bel pezzo il centrodestra avrà modo di governare senza nemmeno essere infastidito dall’opposizione. E pensare che ci avevano fatto su anche il governo ombra! Perché alla forma la sinistra tiene sempre, anche se poi, sostanza zero. Come la storia della convention: un tripudio, un successone, milioni e milioni di «sinceri democratici» in fila davanti ai gazebo.
E poi, Veltroni. Come la piazza, l’altare della patria della sinistra: tutti a piazza Navona! Poi, Beppe Grillo. Io credo che il motivo della perdurante catatonia della sinistra sia conseguenza della batosta elettorale. Non riescono a farsene una ragione. Ancora non capiscono come sia stato possibile che gl’italiani abbiano preferito a loro - i migliori, i più intelligenti, i più colti, i più giusti e i più eleganti - quel marrazzone del Cavaliere e della sua banda. Lo considerano un fatto contro natura. Anzi, no: una violazione dei diritti umani.
Alla Repubblica sono preoccupati, sa, caro Giugni. Dicono che così va mica bene. E quando i repubblicones storcono il naso, è brutto segno perché è lì, a Largo Focchetti, che si trova la cabina di regia della sinistra, lì che si colloca il «meeting point» di ogni buon «sincero democratico». E lì Walter Veltroni non piace più. Hanno ancora, i repubblicones, le mani spellate per quanti applausi gli tributarono al tempo della «convenscion», ma ciò non impedisce loro di dargli il benservito. Sostenendo, tanto per caricare la dose, che Prodi, «l’unico leader vincente finora espresso dal centrosinistra nella sua storia», era meglio. Non c’è molto da vantarsene di quel primato, ma intanto basta a declassare Veltroni al rango di minus habens.


Probabile dunque che alla rinfrescata assisteremo al cambio della guardia rossa anche se il politburo veltroniano sostiene che se il 4 novembre Obama ce la fa, a Walter, che è l’obamino dei poveri, non lo tocca più nessuno. Neanche i repubblicones. E che per decidere il da farsi la sinistra italiana aspetti il responso dell’elettorato amerikano, con la kappa, è una di quelle cose che a me, vecchio conservatore, manda in estasi.

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