I ribelli: è nostro diritto uccidere Gheddafi

TripoliMigliaia di persone hanno invaso ieri a Tripoli quella che fino a qualche giorno fa era la piazza Verde, oggi ribattezzata piazza dei Martiri, per celebrare la fine del regime di Muammar Gheddafi e l'inizio della festa islamica di Eid el Fitr, che chiude il mese del digiuno di Ramadan. Nonostante le sorti del Colonnello siano ancora sconosciute, hanno festeggiato con colpi di arma da fuoco, inni patriottici, le bandiere nere, rosse e verdi della rivoluzione alla mano.
A diversi giorni dall'entrata delle forze ribelli nella capitale libica, nessuno sembra sapere con certezza dove si trovino il Colonnello e la sua famiglia, anche se fonti interne alla leadership ribelle sostengono che entro una settimana Gheddafi sarà nelle loro mani. «È in Libia», dice al Giornale Omar Hariri, responsabile militare presso il governo ad interim. I ribelli lo vogliono vivo o morto. Sulla sua testa pende una taglia da 1,2 milioni di euro. «Ucciderlo è un nostro diritto», ha detto Ahmad Darrad, incaricato per gli affari interni della leadership ribelle. «Ci sta uccidendo. È un criminale e un fuorilegge. In tutto il mondo, se un criminale non si arrende, è diritto di coloro che implementano la legge ucciderlo», ha spiegato Darrad. Le forze alleate della Nato hanno rafforzato i bombardamenti sull'area dove la nuova leadership libica ritiene si nasconda il colonnello: tra Sirte, città natale di Gheddafi, e Beni Walid, a sud-ovest di Misurata.
I fedelissimi del raìs, nonostante la caccia aperta e gli attacchi dell'Alleanza atlantica, hanno respinto l'ultimatum lanciato martedì dal Consiglio di transizione nazionale: «Arrendetevi entro sabato». Il portavoce del regime Moussa Ibrahim ha detto che «nessuna nazione onorabile e dignitosa accetterebbe un ultimatum di bande armate». E il figlio del raìs, Saadi Gheddafi, che secondo fonti ribelli nelle scorse ore aveva fatto capire di voler trattare, in una e-mail all'inviato della Cnn Nic Robertson ha scritto: «Visto che non vogliono negoziare, non credo che andrò da loro ad arrendermi».
Oggi, il regime di Gheddafi avrebbe dovuto celebrare, nella piazza in cui si sono riversati ieri i ribelli in festa, il 42° anniversario della sua rivoluzione. Piazza dei Martiri ha festeggiato invece la fine del suo lungo regno. Fin dal giorno prima, la capitale ha ripreso con lentezza a vivere. Qualche bottega di alimentari ha riaperto le serrande, le donne hanno affollato i mercati rionali, per fare compere in vista della festa. Alla municipalità di Tripoli, dove si è già insediata la nuova amministrazione, i funzionari temono però ancora per la sicurezza: i lealisti sembrano spariti nel nulla, ma potrebbero ricomparire all'improvviso e organizzare attacchi. E ieri, l'esplosione di un'automobile nella quale sono rimasti uccisi quattro ribelli ha sollevato i timori che la storia irachena possa ripetersi a Tripoli. Sono ancora poco chiare le cause della deflagrazione e ci sono possibilità che non si sia trattato di un attacco. Tuttavia, la confusione attorno alle cause dell'esplosione ha rafforzato la paura in una città sospesa, ancora pericolosa, dove la popolazione è tesa anche per la mancanza di acqua e la carenza di cibo e carburante. Garantire la sicurezza è la priorità della nuova leadership, che ha annunciato la volontà di indire elezioni entro 18 mesi. L'obiettivo è ambizioso e la situazione ancora incerta.

Il Consiglio ad interim sembra però essere certo che il conflitto sia arrivato al termine e ha rifiutato la possibilità di un intervento sul terreno di personale militare dell'Onu. «Non occorre nessuna forza straniera - ha detto al Giornale Hassan Bej, un alto funzionario del consiglio cittadino di Tripoli - non ci saranno nuove violenze».

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