I romani e la città negata

I romani e la città negata

Anna Astrella

Cosa c’è al di là della «spettacolarizzazione della città», quali sono le richieste delle periferie capitoline, quali esigenze hanno i romani che abitano nelle borgate e nei quartieri dormitorio di nuova costruzione? Prova a rispondere il centro studi «Cives» che nei giorni scorsi ha reso pubblici i dati del rapporto «La città negata, aspettative e qualità della vita nella periferia romana». Si scopre così che diversi indicatori segnalano emergenze non solo di tipo economico ma soprattutto sociali e culturali. Un dato su tutti: il 63 per cento dei romani intervistati (cittadini tra i 30 e i 50 anni) ha un giudizio negativo del quartiere in cui vive. E soprattutto lamenta l’assenza di ogni forma di aggregazione a causa della carenza di luoghi adatti a sviluppare la socialità. Così gli abitanti dei municipi periferici (VIII, IX, XVIII, XX) finiscono per identificarsi a fatica con la città in cui vivono e la propria abitazione, per il 40 per cento, diventa il luogo di incontro privilegiato. Secondo il rapporto nelle periferie romane va scomparendo quella che era «la città da vivere» e solo il 14 per cento dei romani considera ancora la parrocchia come un luogo di incontro nel quartiere. Non un piazzamento migliore viene riservato al bar (13 per cento) o alla piazza (9 per cento); e di conseguenza ben il 41 per cento degli intervistati non amicizie nella zona in cui risiede. A ciò si aggiunge che nelle aree periferiche i cittadini percepiscono le istituzioni come poco impegnate nella soluzione delle problematiche del territorio. A pensarlo è il 68 per cento. «Non basta quindi una Notte Bianca - dice Andrea Augello, vicepresidente del Consiglio regionale -, non è sufficiente portare nelle ex borgate l’Ikea o l’università e pensare di aver risolto il problema; né si può mettere in moto una certa comunicazione che ben volentieri racconta una certa Roma per dissolvere tra i residenti delle periferie l’idea di essere stati dimenticati». I cittadini chiedono in primo luogo più sicurezza (il 33 per cento) e maggiori spazi di aggregazione (29 per cento) perché per il 50 per cento degli intervistati la qualità della vita nel proprio quartiere è rimasta uguale negli ultimi anni, e per un 29 per cento è addirittura peggiorata.

È necessario, allora, ripensare alle città; ma per farlo, suggerisce Silvano Moffa, sottosegretario con delega alle Aree Urbane e Roma Capitale, «è indispensabile studiare il territorio a fondo e capire i fenomeni che l’hanno interessato».

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