I rovinati dal pm Woodcock / Ugo Bonazza: "Fatturavo sei milioni, ora sono sul lastrico"

L’imprenditore arrestato dal pm nell’inchiesta su Vittorio Emanuele di Savoia: "Assolto dopo cinque anni". Corruzione, prostitute, era tutto falso. Ma io ho perso anche mia moglie". "Diceva che ero il capo della banda. Ma la banda non esisteva"

I rovinati dal pm Woodcock / Ugo Bonazza: 
"Fatturavo sei milioni, ora sono sul lastrico"

L’hanno intercettato per un an­no e mezzo e devono aver riempito chilometri di nastri. Ugo Bonazza, grande amico del principe Vittorio Emanuele, parla come un fiume in piena. Difficile contenerlo, mentre mitraglia di parole l’interlocutore. Più che un’intervista, il colloquio è il tentativo di costruire un argine. Bo­nazza è stato arrestato con il figlio di re Umberto nell’estatedel2006. E co­me il Savoia, pure questo piccolo im­prenditore è us­cito indenne da un’indagine che sembrava più frastagliata del delta di un fiume amazzonico. Corruzione, associazione a delin­quere, iMonopolidiStato,laprostitu­zione, filonisufiloni.L’inchiestacon­dotta da Henry John Woodcock, al­meno sul suo lato, è finita in nulla. Ma anche Bonazza se la passa male. «Nell’estate del 2006 la mia società dicosmeticifunzionavaameraviglia. Fatturavo 6 milioni di euro l’anno e avevo redditi sui 160 mila euro. Stavo benissimo.Oggisonosullastrico:iori­fornivo l’Oréal e i francesi, appena scoppiato lo scandalo, mi hanno det­to: “Non farti più vedere”. Per tutto questo devo ringraziare Woodcock, Woodcock che mi ha rovinato».

Qual era il suo ruolo secondo la Procura di Potenza?
«Vede, loro mi hanno appiccica­to addosso le cimici nell’autunno del 2004 e sono andati avanti fino all’estate del 2006. Ma sa quante cose si dicono, quante fesserie si sparano, quanti progetti si inse­guono in tutto questo tempo?»

Non mi ha risposto. «Woodcock si era mes­so in testa che io fossi il capo della banda».

Invece?
«Non ero il capo per­ché non c’era la banda».

Troppo comodo, no? «Piuttosto:laverità.Cer­to, insieme al principe e ad alcuni amici coltivavamo dei progetti, eravamo an­che un po’ megalomani, ma i pm vedevano il nero dove il nero non c’era.Posso farle un esempio?

Prego. «Il Savoia mi dice: “Guarda che io conosco un colonnello che è cu­gino di Gheddafi”».

E allora? «Riflettiamo e pensiamo di po­ter partire per primi con il turismo, sfruttando quel rapporto, con la Li­bia che in quel 2005 si sta aprendo al mondo. O almeno co­sì pare. Per la Procura pe­rò quel progetto, poi naufragato, è obliquo co­me tutto quello che noi facciamo. Secondo la Procura noi corrompia­mo, ricicliamo, sfruttia­mo le zoccole».

Le intercettazioni a proposito delle signo­rine sono diventate famose.
«Guardi: il principe, la famosa zoccola di cui parlavano i giorna­li, non l’ha mai vista,non sa nean­che chi sia. Chiacchiere su chiac­chiere ».

Un passo indietro: come ha co­nosciuto Vittorio Emanuele
? «Siamo compagni di mutanda da vent’anni».

Compagni di mutanda?

«Short, pantaloni corti, costu­me, come vuole lei. Da vent’anni ci ritroviamo sull’isola di Cavallo in Corsica. Siamo diventati amici, anche se lui è nei libri di storia, ap­partiene alla famiglia reale, e io so­no un plebeo che è si è fatto dal nul­la in Veneto. Sono tutti invidiosi».

Addirittura? Ma di cosa poi?
«Del fatto che siamo amici. Spar­lano tutti di Vittorio Emanuele, poi sottobanco mi dicono: “Me lo presenteresti?”»

Insomma, cosa avevate combi­nato?

«Per Woodcock una sfilza di rea­ti. Corruzione, riciclaggio, asso­ciazione a delinquere. Secondo lui uno volevamo mettere le mani sui casinò, poi avevamo corrotto pezzi dello Stato per ottenere un trattamento di favore dai Mono­poli, poi non so che altro».

Lei è stato arrestato con il prin­cipe?
«Mi sono consegnato dopo. Hanno scritto che ero latitante, in realtà ero in Francia per lavoro».

Dunque, latitante.

«Sono finito in cella con il princi­pe e il suo segretario. Ma solo per pochi giorni».

Poi?
«Arresti domiciliari. Un mese chiuso in casa, un altro con la pos­sibilità di andare al lavoro. Pensi che il giorno in cui ho riacquistato la libertà, il 14 ottobre, per l’eufo­ria sono finito sotto un tir».

Sotto un tir?

«Sì, mi hanno squartato, mi han­no­messo una placca vicino al femo­re e mi hanno rimesso in sesto ».

Le indagini?

«L’inchiesta è stata spacchetta­ta e divisa in tre tronconi. Il primo, in cui mi accusavano di corruzio­ne e sfruttamento della prostitu­zione, è approdato a Como. E a Co­mo i Pm hanno subito chiesto e ot­tenuto dal gip l’archiviazione».

Il secondo?

«Ancora corruzione, ai Mono­poli di Stato».

Risultato?

«Idem come sopra. Archiviazio­ne senza nemmeno arrivare a pro­cesso ».

Il terzo?

«L’associazione a delinquere. Per unpo’èrimastaaPotenza,poiabbia­mo posto il problema della compe­tenza ed è finita a Roma. Qui con il ri­toabbreviatohoavutol’assoluzione, sollecitata dallo stesso pm. Che le de­vo dire? Sono stati cinque anni di umiliazioni, di sofferenze, di pati­menti.

Illavoroècrollato,lamiarepu­tazione è finita sotto i tacchi, mia mo­glie, dopo aver letto di tutte queste presunte zoccole, mi ha lasciato. Un disastro. Oggi faccio fatica a vivere, ma ormai non faccio più notizia».

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