Laura Cesaretti
da Roma
Lo scontro sanguinoso tra Francesco Rutelli e Romano Prodi si è arricchito di un nuovo capitolo e di una nuova vittima designata.
Il redde rationem era nellaria già da tempo, ma ieri sera è esploso pubblicamente: ventidue senatori della Margherita hanno dato alle stampe una lettera al prodianissimo capogruppo al Senato Willer Bordon, per esprimergli il proprio «disagio politico» per il modo in cui conduce il gruppo ed esterna le proprie posizioni, «espresse in una forma che non consideriamo allaltezza del decoro politico». Il cahier de doléances dei senatori è lungo e piuttosto irridente: «Hai promosso ripetute riunioni di corrente nellambito del gruppo. Hai paragonato il presidente della Margherita al tuo punching ball. Hai sostenuto di temere di essere la prossima vittima di una pulizia etnica. Hai definito sciagurata la decisione presa dallassemblea del tuo partito. Hai continuato ad evocare la scissione della Margherita. Hai accusato Rutelli di volerla trasformare in un partito fasullo. Hai definito la Margherita un parmesan (!?)...». Seguono richiesta di assemblea chiarificatrice dei senatori, e firme: da Dini a Treu, da Zanda a Giaretta, da Danieli a Battisti. Ventidue su trentacinque, la maggioranza del gruppo: un atto di sfiducia in piena regola. Non hanno firmato latto daccusa in tredici, molti prodiani doc (Magistrelli, Soliani, DAmico, Dato), ma anche Nicola Mancino.
Che Willer Bordon, capogruppo della Margherita al Senato, sia uno degli alfieri più bellicosi del Professore (fin troppo bellicoso, a parere di qualche prodiano più prudente e machiavellico, tipo Arturo Parisi), è noto. Che abbia ingaggiato in prima persona una battaglia aperta contro la decisione solennemente sancita dalla Margherita di mandare allaria il Listone unitario per presentarsi da sola alle prossime politiche è apparso chiaro in queste settimane di convulse polemiche interne. Non per nulla è stato messo nel mirino dal sarcasmo di Franco Marini, che allassemblea federale della Margherita fece finta di non ricordarne neanche il nome: «Tu, Wilkins... Willing... Come ti chiami?».
Bordon, peraltro, viene considerato uno dei precursori dellipotesi di scissione dalla Margherita rutelliana, per dar vita ad un partito di fedelissimi del Professore: lo aveva minacciato già nellestate scorsa, quando i Dl si opponevano al listone unico alle Regionali, ed è tornato a parlarne apertamente in questi giorni. E non solo a parlarne, dicono i Dl: avrebbe anche raccolto informazioni presso la presidenza del Senato per stabilire i passi da fare a livello parlamentare in caso di rottura. E ora la sua spiegazione della letteraccia è questa: «Vogliono batterci sul tempo e far vedere che ci hanno cacciato loro, e non che ce ne siamo andati noi». Pubblicamente, Bordon si è difeso con una lunga replica scritta: «Ho sempre garantito autonomia e unità del gruppo in un partito plurale e pluralista, sarei meravigliato se si volesse impedire a chicchessia non solo di mantenere le proprie idee ma di lavorare liberamente per mutare quelle decisioni». Bordon puntualizza poi di aver già convocato lassemblea del gruppo per il 15 giugno («I tempi li decido io, mica loro!», è sbottato), e sottolinea anche che in questi giorni molti dei firmatari gli hanno assicurato che «non era in discussione la presidenza del gruppo», ossia che i rutelliani non lo avrebbero sfiduciato. Cosa che hanno i numeri per fare, ma non la volontà: «Qualunque altro capogruppo, al posto di Bordon, si dimetterebbe dopo un simile atto daccusa», dice un alto dirigente rutelliano, «ma lui non lo farà. Resterà sulla sua sedia, ancorché dimezzato, e noi non lo cacceremo». Di qui al 15 giugno, ragiona Bordon, possono accadere molte cose.
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