«La prossima volta, se possibile, sarebbe meglio un po' meno di trepidazione». Ha iniziato così l'incontro con i giornalisti dei quotidiani Saverio Costanzo seduto al fianco di Paolo Giordano, alleati e sintonici nella trasposizione cinematografica de La solitudine dei numeri primi, ultimo film italiano in concorso a Venezia e da oggi in 380 cinema italiani (produce Medusa). L'escalation degli aggettivi - atteso film, poi attesissimo, infine atteso con trepidazione - ha creato un'aspettativa eccessiva «e poi quando uno arriva al cinema, tanto più se alle nove del mattino come qui al Lido, si trova davanti due corpi, una cinepresa e un regista che ci prova. E' solo un film, non Il Gattopardo».
Nel lavoro di Costanzo, la storia di Alice (Alba Rohrwacher) e Mattia (Luca Marinelli), afflitti da due insuperati traumi infantili diventa un «horror dei sentimenti. Nel libro c'era un enorme dolore e l'unico modo di rappresentarlo riuscendo a sdrammatizzarlo era usare l'ironia dell'horror, genere con il quale sono cresciuto».
Sulle musiche dei Goblin (Profondo rosso), le citazioni di Dario Argento, Shining, Carpenter, Ingmar Bergman e Antonioni, Costanzo procede con una serie di flashback - «ma in un unico momento emotivo» - tra il presente di Alice, giovane fotografa, e Mattia, taciturno ricercatore universitario in procinto di trasferirsi in Germania. Li si vedono adolescenti e anche bambini in una serie di salti temporali ben orchestrati e realizzati in parallelo, a voler significare anche la sorte dei «numeri primi» che, restando sempre prossimi non si toccano e non si confondono mai. La parte migliore del film si condensa nei primi due terzi costruiti attorno ai due momenti chiave della storia dei ragazzi, il perno del film, laddove si consumano i traumi che segneranno la loro vita: l'incidente sciistico di Alice e il colpevole abbandono della sorellina handicappata al parco da parte di Mattia. Soli, poco confortati dalle rispettive famiglie attraversate da debolezze e frustrazioni (Isabella Rossellini è la madre di Mattia), i due bambini convivono con il loro segreto che ne condizionerà pesantemente il passaggio all'adolescenza e all'età adulta. La distanza dai loro coetanei rimarrà sempre incolmabile e il rapporto con il proprio corpo irrisolto. Mattia si ferisce le braccia, Alice diventa anoressica. «Ho voluto mettere in scena un'epica dei corpi, in cui l'incapacità di accettarsi si tramuta in un rapporto disturbato con la propria fisicità», ha detto Costanzo. «Ho letto un articolo in cui si dice che questa è la Mostra in cui i corpi violati sono al centro. Anche nel mio film l'epica dei corpi ha un senso politico».
Accolto in modo molto contrastato - per qualcuno è addirittura meglio del libro, per altri non è l'atteso capolavoro - con ogni probabilità, nelle sale il film otterrà un grande successo di pubblico. Se solo lo vedesse una piccola parte di coloro che hanno letto il libro, le 380 copie dell'uscita non basterebbero. Atteso alla prova della consacrazione definitiva dopo gli ottimi risultati di Private e In memoria di me, Costanzo, che in un primo momento avrebbe voluto proporsi come sceneggiatore, si è cimentato con il libro di maggior successo degli ultimi anni dopo Gomorra. «Più che di star, il cinema ha bisogno di segni», premette: «Poi è stato Paolo stesso a decidere che avrei anche potuto esserne il regista». Dal canto suo, Giordano ha sottoscritto la sceneggiatura: «Non ho vissuto un'ansia di possesso del libro. Ho collaborato senza alcuna preoccupazione di difenderlo. Una volta accettato di cedere i diritti, il libro comincia un'altra vita.
E, in un certo senso, vedendo nascere il film, l'ho riletto davvero per la prima volta, commuovendomi».
Ci vorrà ancora tempo per dare un giudizio ponderato. Ma per ora sembra che, pur non essendo un'opera impeccabile per alcune incertezze nella parte finale, anche il film abbia iniziato bene il suo percorso.
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