I sentimenti retrò della contessa

«All'inizio avevamo pensato di portare in scena quell' irresistibile gioiello letterario che è l'Interrogatorio della contessa Maria, un dialogo esilarante scritto da Palazzeschi nel 1926, ma pubblicato più di sessant'anni dopo per volontà dell'autore. Più che sconcertato direi addirittura inibito dalla gioiosa libertà sessuale del suo personaggio femminile», dichiara Mariano Rigillo. Mentre la sua musa di sempre Anna Teresa Rossini ovvero Cicci («ma solo per gli amici», dice lei) gli fa eco con ironia puntualizzando che la Contessa è talmente prevaricante rispetto a «quella stinta grisaglia da impiegato modello rappresentata dal suo interlocutore» da aver imposto al duetto in questione di tramutarsi, da un giorno all'altro, in una scanzonata rivisitazione del rapporto di coppia attraverso i secoli, per non dire i millenni. Così è nato Buongiorno contessa, lo spettacolo per due voci soliste, dall'acuto al grave per non dire dal falsetto al basso comico, che Rigillo-Rossini presentano al Carcano fino al 6 marzo dopo aver girato mezza penisola isole comprese non solo in festival e rassegne dedicate alla prosa ma addirittura nei teatri lirici. Dato che, nel corso della soirée, ai due interpreti si alterna, su musiche originali di Paolo Colletta che dirige a vista i due infaticabili mattatori, un tris con violino, pianoforte e flauto che commenta con lancinante ironia l'andamento del gioco letterario. Che naturalmente comincia col saluto in sordina Buongiorno, contessa pronunciato da lui e seguito a ruota dalla replica in punta di penna di lei, la terribile nobildonna dall' inquietante cognome Pizzardini Ba. Una virago che sotto una cloche color verde mare di pura marca felliniana gli fa eco con un «Buongiorno carissimo Aldo» destinato ad aprire le schermaglie, per non dire le ostilità,di questa coppia sconcertante dove tra incaute stoccate e mordaci allusioni viene divorato il povero poeta. Ma non allarmatevi: subito dopo, infatti, ecco i due trasformarsi per amore o per magia nei due teneri fidanzatini in odor di Peynet che Prévert descrive con languore in Questo amore così fragile e così disperato. Prima che sull'onda infida di un assolo di flauto Diderot coi «Gioielli indiscreti», sarcastica parafrasi delle più intime delizie del corpo femminile, ci avverta che per la contessa è giunta l'ora delle confessioni. Un andante sussurrato con languore ci comunica infatti che, in una Seicento multipla, gli amanti di ieri tramutati in due araldi del sesso si dedicano alle terribili acrobazie adombrate da Luigi Malerba in un «Serpente» che non lascia adito a dubbi. Prima che un passo a due dapprima appena modulato sui versi di Lorca e poi sulla grancassa rutilante del «De Pretore Vincenzo» di Eduardo ci introduca a una festa in grande stile.

Dove tra l'Ulisse dantesco inseguito ad oltranza dal leit motif del viaggio e le «Luci di Algeri» dovute alla penna tenera ed agile di Gianni Guardigli l'affresco vocale si tinge di nostalgia. Poiché, come dice Rigillo, «l'amore è una cosa che odora di rosa».

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