I «Sillabari» di Poli: tutte le lettere del teatro della vita

Una galleria simpatica, eterogenea e dai mille carati di personaggi, testimoni di differenti universi che si tingono ora di Allegria poi di Anima, per poi assumere il profumo del Bambino terminando col la dolcezza di una C come Carezza; Paolo Poli, «il pierrot saltimbanco, dissacratore, lo show vivente» sbarca fino al 6 gennaio sulla scena della Sala Grande del Teatro Franco Parenti con il suo «Sillabari», lo spettacolo diretto da lui tratto dall'opera di Goffredo Parise. Un omaggio all'autore contemporaneo che si contraddistinse per la semplicità che non mancò mai di riversare nelle sue parole, una celebrazione del passato che, con un po' di nostalgia, l'attore, nonché regista, in tante occasioni mimo e burattinaio, ma anche fantasista e trasformista, ricorda nella sua purezza, nei suoi colori, nei suoi costumi ormai fuori moda, ma pregni di magia. Tra un personaggio e l'altro Paolo Poli assume le sembianze di personaggi particolari, ma dal carattere universale offrendo le mille sfumature, ora cupe, a momenti più esilaranti di un'epoca che non c'è più ma che resta indelebile nella memoria di chi ha avuto il privilegio di vivere nel Bel Paese tra gli anni Quaranta fino ai Settanta, quando gli italiani, cercavano la rinascita dopo il periodo luttuoso della guerra. Attraverso brevi racconti, i personaggi di Poli rivivono anche nel Nuovo Millennio, continuamente nutriti dalla sua raffinata ironia, da quella sua tipica eleganza. Si inizia dalla A di Amore e si procede progressivamente fino alla lettera S di Solitudine dove Parise si è arrestato per mancanza di ispirazione perchè, come lui stesso affermò «Alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi. La poesia va e viene, vive e muore quando vuole di un'umanità lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti...?».

Ecco che sulla scena prendono vita bimbi turbati e attoniti, nonni infuriati e donne sole, tutte anime che si muovono in ambienti e scene di Emanuele Luzzati, risvegliate dalle musiche di Jacqueline Perrotin e dalle doti attorali di un grande Paolo Poli. «Siamo tutte delle gran bugiarde» è il libro-intervista firmato da Poli e da Giovanni Pannacci (edito da Giulio Perrone), nel quale è possibile scoprire la grandezza di uno spirito lieve dalle mille identità.

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