"I sindacati vogliono uccidere il Paese"

Marchionne perde la pazienza con la Fiom: «Se continuano così l’industria italiana non avrà futuro. E non ci prendano per i fondelli: lunedì hanno scioperato perché giocava la Nazionale». Il governo intanto avvia l’iter per la libertà d’impresa

Silvio Berlusconi in questo momento vorrebbe essere come Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat. Progettare, trattare, poi decidere: chi ci sta ci sta, gli altri si arrangino. È vero che la Fiat non ha una Costituzione da rispettare ma è anche vero che fino a poco fa c'era una legge non scritta in base alla quale sindacati e governo avevano voce in capitolo sulle scelte strategiche della prima industria nazionale. Quel tempo è finito. Se qualcuno avesse avuto ancora qualche dubbio che Marchionne bluffasse sull'accordo proposto nei giorni scorsi ai lavoratori per tenere aperto lo stabilimento di Pomigliano, e rifiutato dalla Fiom-Cgil, ieri ha dovuto mettersi il cuore in pace. Il capo della Fiat ha infatti usato parole dure come non aveva mai fatto: i sindacati ci prendono in giro, scioperano per andare a casa a vedere i mondiali di calcio; il sindacato vuole ammazzare l'industria e di conseguenza il Paese che perderà il suo settore manifatturiero; gli operai polacchi hanno qualità di lavoro che gli italiani si sognano; se continua così, Fiat non è interessata a stare in Italia. Quindi si chiude e tutti a casa.
Anche Berlusconi spesso ha usato e usa parole forti, solo che spesso i fatti non sono seguiti. È lui stesso a dirlo: non ho il potere, non me lo fanno fare. È evidente che le due situazioni non sono paragonabili. Da una parte c'è un'azienda, dall'altra uno Stato. Ma le esigenze sono identiche, cioè fare le riforme per rendere efficiente ciò che si governa. E non è scritto da nessuna parte che un Paese debba rimanere ingabbiato per l'eternità dentro regole scritte oltre sessant'anni fa, che ne hanno permesso la nascita e lo sviluppo ma che ora lo condannano all'immobilismo se non all'arretratezza. Non a caso gli stessi padri costituenti avevano previsto la possibilità di cambiare.
Se fosse una azienda, l'Italia sarebbe già fallita, esattamente come la Fiat prima dell'era Marchionne. Ieri il Consiglio dei ministri ha avviato l'iter di una legge per liberare imprese e imprenditori dai lacci e dai costi della burocrazia. Sembra assurdo, ma per farlo bisogna cambiare un paio di articoli della Costituzione e solo questo la dice lunga sull'attualità della nostra Carta. Bene. Serviranno due voti della Camera, due del Senato e un referendum confermativo nel caso le quattro approvazioni arrivassero ma senza maggioranza qualificata. Bersani ha già detto che lui non ci sta, Di Pietro pure, Fini per ora tace ma presto parlerà per dire che così non va bene, Bocchino probabilmente sta studiando la pratica per trovare un cavillo sul quale innestare l'ennesima polemica. Senza contare i dubbi che potranno arrivare da Quirinale e Corte costituzionale. L'unica consolazione è che Santoro è in vacanza. E tutto per cosa? Per permettere a chiunque di noi di aprire una pizzeria in tempi ragionevoli, senza dover ungere ruote e ruotine del sistema pubblico.

E tutto questo perché? Non certo perché ci sia in giro qualcuno che ritenga la cosa sbagliata o pericolosa, semplicemente bisogna impedire a Berlusconi di governare e logorarlo al punto da prenderne il posto (leggi Bersani, Fini e Casini).

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