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I sogni del «principe degli architetti»

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Qualcuno, in virtù delle sue committenze altolocate ma anche di quel tocco di nobile stravaganza che lo portò a realizzare opere «inutili» quanto geniali, lo aveva soprannominato il «Principe degli architetti». Lui era Tomaso Buzzi, architetto-artista milanese che per anni lavorò al fianco di Gio Ponti: con lui fece parte del movimento «Neoclassico milanese» e con lui fondò, nel 1927, la rivista di arredamento Il Labirinto. Eccentrico, viaggiatore e sognatore, Buzzi fu un maestro di eclettismo. Sempre al fianco di Ponti nella rivista Domus, nel ’26 disegnò la «Forma Urbis Mediolani» per il Piano regolatore di Milano e a soli trent’anni divenne docente alla Facoltà di Architettura di disegno dal vero. Ma all’attività ufficiale, quella che lo portò a progettare l’arredo delle ambasciate italiane all’estero, affiancava la vocazione di artista e disegnatore. Un’anima ben descritta in una bella mostra in corso allo Spazio La Galliavola di via Borgogna 9 che racconta «Il mondo in valigia» di Tomaso Buzzi, piccole opere realizzate come un diario di viaggio durante le sue lunghe escursioni in Cina nel ’70, nel ’73 e nel ’77. Sulle carte in mostra non c’è nulla di quello che il pubblico si aspetterebbe da un architetto del ’900, piuttosto impressioni in libertà esperite attraverso l’uso di una tecnica, il tratto e l’acquarello, che utilizzò per sintetizzare mirabilmente il suo incontro con il paesaggio dell’estremo Oriente, così lontano dalle immagini razionaliste ed eclettiche della sua città e della sua epoca. Gli acquarelli sono liberi e accesi, una fluidità che lo farebbe piuttosto accostare alle vedute di un espressionista come Emil Nolde. Circa una quarantina i pregevolissimi schizzi che ritraggono - come fossero istantanee - luoghi, ambienti e persone filtrati attraverso le emozioni di un curioso e appassionato «reporter». In Cina, Buzzi dava lezioni agli studenti con i suoi schizzi che spesso realizzava a due mani tra lo stupore degli astanti. Negli acquarelli, invece, fanno capolino quelle «sfumature cinesi» che ritroviamo nel cromatismo delle porcellane, nelle calde dorature dei bronzi, nella trasparenza delle giade, nella brillantezza delle lacche, in tutti quegli oggetti che l’arte cinese ha prodotto nei millenni. Personaggio estroso, Buzzi, e a tratti geniale se si pensa che l’opera più mirabile della sua vita non la eseguì per committenti quanto per sè stesso. Parliamo della «Scarzuola», ovvero la «città ideale» che costruì per 30 anni fino alla morte nei pressi di Montegabbione, un piccolo comune umbro. In quell’invenzione architettonica surreale, il «principe» volle rappresentare il suo universo intimo così fortemente intriso di metafisica dechirichiana come pure figlio delle città invisibili di Calvino.

Costruita presso un convento del '200 fondato da San Francesco, la struttura fu acquistata da Buzzi nel 1957 che ne fece un simulacro di simboli ermetici, in un percorso simbolico neo-illuminista denso di riferimenti esoterici. Un castello di costruzioni raggruppate in sette scene teatrali, metafora della vita di ciascuno, è il percorso di purificazione che rappresenta il testamento di un grande milanese del Novecento.

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