I soldi non sono tutto: contano di più i colleghi

Un sondaggio nelle aziende fa crollare un’altra certezza: ci rechiamo al lavoro per tagliare il traguardo del 27 del mese E invece no: nella ricetta per l’impiego felice, uno su due mette al primo posto capo e compagni d’ufficio gradevoli

I soldi non sono tutto nella vita. A volte contano di più i vicini di scrivania o di reparto. È questo l’ultimo colpo di scena che non ci lascia tranquilli o, forse, ci avvicina alla beatitudine paradisiaca.
Tutta colpa, o merito, della Monster, un nome che è una garanzia. A parte gli scherzi qui si tratta di un’indagine svolta dall’azienda leader nella ricerca e nell’offerta di lavoro. Un sondaggio fatto, dal portale internet. Su tremila campioni, nel senso di persone alle quali è stata fatta la domanda epocale: è più importante avere dei buoni colleghi o un stipendio interessante? Voi che avreste risposto? Non fate i furbi, non c’è un premio in palio. Tenetevi, teniamoci forti alle sedie: per i tremila intervistati i lavoratori italiani ritengono più importante avere buoni colleghi e un capo di cui si ha stima piuttosto che uno stipendio alto, per essere soddisfatti della propria occupazione.
Capisco lo sconcerto, la ricerca fa crollare il mito del 27, giorno consacrato alla paga. Si tratterebbe di una vecchia diceria di paese, roba datata, volgare. Volete mettere la location? Volete mettere l’ambiente gaio tra segretarie sorridenti, assistenti disponibili, capiufficio ben disposti sempre?
Il lavoro nobilita l’uomo e lo rende simile alla bestia. Non è vero, semmai, grazie ai risultati dell’indagine, il lavoro riscatta l’uomo dalla sguaiatezza del vil denaro che non soddisfa le nostre esigenze, se non quelle basse, spicciole. Mi aspetto di incontrare, a questo punto, un gruppo di questuanti, non scrivo barboni perché non è corretto nel linguaggio opportunista di oggi, felici tuttavia del loro ambiente esistenziale, euforici del vicino di falò, della prospettiva di cambiare giaciglio, al diavolo gli euro dell’elemosina. È un paradosso, me ne rendo conto, ritraggo la parola e la provocazione. Ma certe indagini demoscopiche sorprendono per la loro imprevedibilità, sul tema e sulle risoluzioni allo stesso.
Dal sondaggio, si dovrebbe dedurre, ad esempio, che il resto del mondo che ha sodali insopportabili, colleghi pettegoli, ma a fine mese incassa un salario sontuoso deve invece ritenersi sfigato, depresso,emarginato, insoddisfatto.
La tredicesima? Una sofferenza? Il premio di produzione? Una prebenda inutile. Meglio un collega che racconta barzellette, meglio la segretaria che fa intravedere un seno, se ne mostra due poi, meglio il capo che lascia la porta aperta, a volte anche quella dell’autovettura, non si sa mai. Per non farci mancare nulla abbiamo anche le percentuali di gradimento. Esempio: al 12 per cento degli intervistati, siamo sulle trecento e sessanta unità, interessa l’avanzamento di carriera, la promozione, il salto alfabetico, dalla categoria C alla B e su fino alla A. A tutti, poi, garba avere un capo con cui dialogare, se poi la busta del ventisette è magra, sgonfia, una farfalla senza le ali, chissenefrega, una pacca sulle spalle, un bel sorriso e via verso il weekend, magari con gli stessi colleghi di lavoro, per non perdere le buone abitudini. Insomma gli italiani non sono mercanti e prosaici come qualcuno continua a credere, non bussiamo sempre a denari, ormai ci piace vivere la vita, fischiettare con in mano la chiave del tredici o davanti al computer caldo piuttosto che umettare le dita per contare la moneta.


I tremila della Monster punto it hanno voluto, dunque, ribadire il concetto estremo: viva il lavoro, abbasso lo stipendio, i soldi non sono tutto nella vita. Però, non previsto dal sondaggio ma lo aggiungo io, a volte contano anche gli assegni o i bonifici. O no?

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