Franco Ferretto è titolare con il fratello Gianni della Arteferretto che produce mobili in stile a Merlara (Padova).
«La giornata lavorativa inizia alle 7 - scrive al sito internet del Giornale - con pausa pranzo dalle 12 alle 13,30, quindi avanti fino alle 20; il dopocena davanti al Pc si protrae quasi sempre fino alle 2 (basti vedere lorario di invio di questa e-mail)». Le 2.38 del mattino.
Quando ha avviato la sua attività?
«Il 25 aprile 1980, qui si lavora senza badare a feste o domeniche. Lavoravamo per la Germania. Da allora dal nostro laboratorio non è mai uscito un solo pezzo in nero. Mi danno fastidio quelli che dicono: lavoratori in proprio uguale evasori. Mia moglie ha sempre lavorato e non ha mai avuto un soldo per la maternità. Fossi stato un dipendente pagato a ore, avrei il doppio dei soldi di oggi, senza il rischio del cliente che non paga, di un infortunio, di una visita della finanza».
Ha già dovuto affrontare momenti brutti come questi?
«Abbiamo avuto alti e bassi. L'inizio fu entusiasmante, poi certe scelte hanno frenato una potenziale espansione. Negli Anni 90 avviammo una importante collaborazione con una grande catena di negozi francese, per qualche anno non abbiamo avuto un attimo di respiro finché in Francia non cambiarono strategia proprio mentre ci stavamo allargando».
Come ne usciste?
«Rimboccandoci le maniche fino alle ascelle. Abbiamo ipotecato la casa ed esportato altrove. Con l11 settembre fummo costretti a licenziare. Nel 2005 lobbligo di adeguare gli impianti di sicurezza ci costò lutile di un anno. Poi arrivò linvasione dei mobili cinesi e indiani. Fummo costretti a ricorrere alla cassa integrazione per brevi periodi. Ma agli operai la cassa integrazione piace».
Come mai?
«Qui nel Veneto fanno il tifo per la crisi perché prendono i soldi della cassa integrazione e vanno a lavorare in nero per 5-6 euro allora in ditte senza scrupoli. Io che pago Tfr, tredicesima, ferie, visite mediche non posso fare i loro prezzi. Così i miei operai vanno a lavorare in nero per chi mi ha portato via il lavoro».
Come affrontate la crisi di oggi?
«Paradossalmente un vantaggio cè: i rivenditori si rivolgono nuovamente alle aziende locali poiché non ammortizzano più i costi di trasporto dalla Cina. Cerchiamo nuovi mercati come la Russia e i Paesi arabi. Lavoriamo, lavoriamo sempre. Con la crisi un lavoratore autonomo lavora il doppio, perché non ha diritto a sussidi e nessuno si batte per lui. Ma siamo in tanti cani ad azzannarci per un osso, e ormai di polpa ne è rimasta gran poca».
Problemi con le banche?
«Da più di tre anni, ormai, per la normale conduzione della famiglia ho iniziato a intaccare i risparmi degli anni migliori in attesa che il vento torni a gonfiare le vele. Nellattesa che ciò avvenga non cè nessuno che possa darci un aiuto concreto. Bisogna aiutarsi da sé».
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