I timori Usa sulle radiazioni: «Più forti di quanto dicono»

Ormai è una questione di ore. Una corsa disperata contro il tempo per cercare di arginare i danni provocati dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo alle centrali nucleari del Giappone. Ed è anche una questione di priorità, perché in questo momento quello che spaventa di più il Paese del Sol Levante e il mondo intero sono i due reattori della centrale atomica di Fukushima, il numero 3 prima di tutto che rischia di creare una fusione nucleare e poi il 4. Non sono bastate nemmeno le trenta tonnellate di acqua versate ieri mattina dagli elicotteri dell’esercito nipponico e dai cannoni: le operazioni per mantenere sommerse nelle piscine le barre di combustibile degli impianti si sono dovute interrompere perché il livello delle radiazioni ha continuato a salire superando il limite di sicurezza. Si riprenderà oggi con gli stessi mezzi. Ma oltre al disastro naturale e alle vittime - le stime parlano di 5.187 morti e si teme che si possano superare i 24mila - il terremoto rischia di far salire i toni nei rapporti del Giappone con i suoi alleati, convinti che il governo nipponico non stia dicendo tutta la verità. Per l’amministrazione statunitense la situazione è ben più grave di quella descritta da Tokyo. Secondo il capo dell’ente nucleare americano, l’impianto di Fukushima sta diffondendo «radiazioni estremamente forti, potenzialmente letali». Ieri il presidente Barack Obama ha telefonato al premier nipponico Naoto Kan assicurandogli «tutto l’appoggio necessario» per far fronte all’emergenza e nel giro di qualche ora il Pentagono ha annunciato l’invio di esperti nucleari militari per aiutare i colleghi giapponesi.
Ma poi c’è anche la paura della contaminazione, le ultime previsioni metereologiche che parlano di un vento che nelle prossime 48 ore potrebbe portare le emissioni radioattive della centrale verso le coste della California. E la preoccupazione per i connazionali che vivono lì, tanto da spingere il dipartimento di Stato americano a lanciare un allerta per sollecitarli a prendere in considerazione l’ipotesi di lasciare il Giappone. A quelli che vivono in un raggio di 80 chilometri dall’impianto, gli Usa hanno raccomandato di lasciare la zona o rimanere al chiuso, mentre da Washington è arrivata l’autorizzazione al personale civile americano, alle loro famiglie e a quelle dei militari di abbandonare la base militare dell’isola giapponese di Honshu e nel giro di poco tempo è partito il primo charter per Tapei. Anche il presidente russo Dmitri Medvedev usa toni allarmistici, l’incidente nucleare per lui è un «disastro nazionale colossale, una catastrofe». E se pure con espressioni contenute, pure la Cina vuole avere da Tokyo informazioni «tempestive e accurate» sulla situazione delle centrali. Il terrore del contagio è arrivato anche da loro, dove da giorni i cinesi per scongiurare l’arrivo di nubi tossiche e radiazioni, hanno fatto incetta di sale e medicine a base di iodio.
Intanto la fuga dal Giappone continua. Come Corea del Sud, Francia, Regno Unito anche l’Italia ha esortato «vivamente» gli italiani che si trovano ancora a Tokyo e nelle prefetture giapponesi più colpite dal terremoto e dallo tsunami ad andare via, mentre la Farnesina sta valutando la possibilità di «facilitare il rimpatrio» per i connazionali «in situazioni di elevata vulnerabilità». La raccomandazione per chi è rimasto nel nord del Paese è di tenersi a distanza di sicurezza dalla centrale di Fukushima.


E mentre si lavora freneticamente per evitare un black out sulla parte orientale del Paese, ieri, appena fuori da Tokyo, è stata avvertita un’altra scossa di magnitudo 5.8 con epicentro a largo delle coste della prefettura di Ibaraki. La terra continua a tremare.

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