Roma - «È un dovere provarci», dice Fabio Mussi. Anche se ammette che unire la sinistra sarà «un lavoro enorme».
Acclamato a furor di popolo dalla sala strapiena (e molto rossa) del Palazzo dei congressi di Roma, il ministro dell’Università tiene a battesimo la sua Sinistra democratica, il movimento (che «non vuole essere un partito», promette) che nasce dalla scissione dei Ds dopo il varo del Partito democratico. Accanto a lui gli altri big della diaspora diessina, da Gavino Angius a Cesare Salvi, dinanzi ad un parterre de roi che vede presenti tutti i leader di tutto ciò che si muove alla sinistra del Pd. Da Rifondazione (Bertinotti è in missione in Medio Oriente, ma c’è il segretario Franco Giordano) al Pdci con Oliviero Diliberto, dai socialisti dello Sdi con Enrico Boselli ai verdi ai radicali. E poi il fondatore del Pds, Achille Occhetto e quello di Rifondazione, Armando Cossutta, l’ex candidato anti-Fassino Giovanni Berlinguer. E un pezzo significativo di Cgil, che guarda con grande timore al Partito democratico e con grande interesse ai nuovi interlocutori della sinistra. «Il sindacato italiano manterrà la sua autonomia: Cgil, Cisl e Uil rappresentano molto più di qualsiasi partito», avverte Paolo Nerozzi, segretario confederale. Non c’è nessun esponente Ds, invece, anche se Piero Fassino era stato (per cortesia) invitato. Dalla Quercia, anzi, arrivano frecciate velenose, affidate dal segretario al coordinatore Migliavacca: «Nasce un movimento senza una prospettiva certa di aggregazione, senza una piattaforma chiara, con un’assoluta confusione di collocazione internazionale». Giudizi, replicano dall’ex Correntone, «che si applicano alla perfezione al Partito democratico». Ma con la ex casa madre ds non si cerca lo scontro, oggi: niente recriminazioni, nessun tono vendicativo, «auguri» amichevoli di Mussi a Fassino. Nessuno «spirito scissionista», insomma, come constata un altro ex di rango, Peppino Caldarola.
«Una sinistra nuova, socialista e plurale è una necessità storica per l’Italia», spiega Mussi dal podio. Una sinistra «laica, autonoma, critica ma di governo, perché noi non siamo per le mani libere: il Pd è un nostro alleato, non un nostro nemico, e il centrosinistra il nostro spazio». Alleato, certo, ma criticabilissimo, tanto più ora che - come dice Salvi ricordando tra gli applausi che il 5 maggio è il compleanno del vecchio Karl Marx - «siamo tutti più liberi». E Gavino Angius attacca duramente «l’assordante silenzio» del Pd sull’interventismo clericale e le ambiguità sul Family day (Sinistra democratica invece aderisce alla manifestazione dell’«Orgoglio laico» promossa per il 12 maggio da radicali e Sdi). E reo di avere «cancellato dal suo Dna le parole socialista e sinistra». Ironizza Angius: «Non hanno ancora formato il partito e già litigano sulla leadership». E critica Prodi che «in Europa sta con Bayrou, e ha la pretesa assurda di rappresentare tutti».
Il successo di partecipazione è fuori discussione, superiore alle aspettative dei promotori. La prospettiva politica è più nebbiosa e complicata, però. Perché Mussi guarda al Prc ma spiega a tutti che non vuole farsi «annettere» da Bertinotti, Angius e Salvi pensano all’«unità delle forze laiche e socialiste». Mettere insieme Boselli e Bertinotti o Pannella e Diliberto è improbabile se non impossibile. «Ho combattuto Fassino per lo scarso riformismo e D’Alema per l’antisionismo e mi vado a mettere con Rizzo e Diliberto che sono amici di Cuba e di Hezbollah?», chiede provocatorio Caldarola, che guarda invece al «cantiere socialista» e liquida l’unità della sinistra come «il sole dell’avvenire: una prospettiva secolare». E d’altronde dentro Rifondazione si registrano perplessità speculari: «C’è una sinistra riformista, Sdi in testa, che vuole tagliare le pensioni e fare la guerra in Afghanistan: come possiamo stare insieme?». Boselli lo dice chiaro: «Ci sono due cantieri, il nostro, che è la costituente socialista e quello di Rifondazione».
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