«I Tullianbrook» non è un romanzo, è una commedia

Caro Granzotto, come mai, per leggere una bella e spudorata storia di amore e di quattrini alla Honoré de Balzac bisogna comprare ogni mattina il vostro Giornale e non qualche romanzo consacrato da certi premi da serate estive? Eppure, pensi, la grandezza sinistra del politico coinvolto in una vera e propria guerra del mattone (del buon nome), un ragazzotto da film con Renato Pozzetto che gira per il Principato di Monaco a bordo di una rombante Ferrari ma non spiega l’imprevedibile sviluppo di certi affari immobiliari, e soprattutto una sorella titolare di un «lato B», di una buona stella formidabile perché non solo diventa la morosa del politico dopo aver amato un capitalista non bellissimo ma ricco che gli dona un immenso patrimonio, ma vince un paio di miliardi di lire al Superenalotto! Dove si trova più un soggetto così affascinante? Perché i narratori di professione non ne sanno approfittare?
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La realtà romanzesca, eh? la vecchia cara realtà romanzesca. Tuttavia a me pare che fra quella compagnia di giro nessuno possa davvero vantare un timbro balzacchiano. Diciamoci la verità, caro Forte: quella che si dipana sotto i nostri occhi più che alla Comédie humaine attiene alla Pochade humaine. Ma anche così, il centone c’è tutto e con sovrabbondanza di materiale. C’è il protagonista che da camerata Edmond Dantès decide di farsi conte di Val Cannuta dando un taglio al passato (al «vissuto», per dirla nell’italiano bischero): alle proprie idee, ai propri ideali, alla propria educazione e alla propria, diciamo così, cultura. Zac, colpo netto. Visto che c’era, si disfa anche della consorte: per quanto ha in mente gli necessita infatti di una donna del bel mondo e agli occhi dell’ex pigionante di via della Scrofa quale mondo più bello, più glamour di quello diviso fra l’aristocratica anche se un po’ farlocca atmosfera del castello di Torre Alfina e quella maschia, vigorosa, degli spogliatoi del Perugia Footbal Club? E come resistere dal cogliere, in quel giardino dove oltre alla ricchezza, ma questo va da sé, imperava l’eleganza, il buon gusto, la finezza e la signorilità, come non cogliere, si diceva, la rosa più aulente?
Proprio vero, caro Forte, con personaggi di tal fatta un Buddenbrook virato in Tullianbrook verrebbe giù facile dalla penna perché non ci sarebbe da forzare la fantasia essendo tutto offerto su un piatto d’argento, ivi compreso un cognatino che scorrazza a Montecarlo con la sua Ferrari, roba che non s’era vista dai tempi di Caccia al ladro (anche se Hitchcock, che aveva orrore delle cafonate, non pone Cary Grant al volante di una Ferrari, ma di una più distinguished Sumbeam Alpine).

E poi mettiamoci la politica, la sarabanda immobiliare, le immersioni da uomo rana, le società offshore alle Cayman, le cravatte rosa, l’arroganza e le sicumere alla Paneroni (quello di: «O bestie! È il Sole che gira attorno alla Terra, o bestie!»), il ducesco voler forgiare il futuro, il bacio della dea bendata che frutta due miliarducci, mica bruscolini; mettiamoci l’ex compagno della compagna dell’ex camerata che dichiara, papale papale: «La ridurrò in mutande», suggestiva espressione alla quale s’aggiunge un lapidario giudizio - «Quei morti di fame» - riferito al clan: non proprio una investitura nobiliare, ad esser sinceri. Ma forse è così che va il bel mondo. No, caro Forte, si convinca: non serve un Balzac - troppa grazia! - per tratteggiare un così pittoresco ambiente familiare. Che ne direbbe di uno Scarpetta?

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