Giovanni Impastato, a Cinisi riceve visite di turisti interessati alla storia di suo fratello, vittima e simbolo della lotta alla mafia?
«Nella casa di famiglia, che abbiamo trasformato in un luogo di memoria e sede dell'associazione dedicata a mio fratello, ci sono visitatori ogni giorno».
Che genere di visitatori?
«Gente qualunque che viene da ogni parte della Sicilia, dell'Italia e del mondo: tedeschi, spagnoli. L'altro giorno è venuto un gruppo da Cuba. Tutti i posti dove il film I cento passi è stato distribuito. Arrivano anche tanti giapponesi, perché a Tokio il film ha vinto un premio».
Ma quindi, per dire le cose come stanno, sono turisti?
«Certo, mica mi vergogno a dirlo, anche se intorno all'antimafia spesso gira un certo intellettualismo che rifiuta questa idea».
E lei non è d'accordo.
«Io la considero una cosa molto positiva. Vanno a Palermo a vedere la cattedrale e poi vengono qui? Va benissimo. L'importante è evitare la deriva del folklore o peggio dell'esaltazione della mafia».
E cosa le chiedono i turisti?
«Di andare nei posti dove ha vissuto ed è stato ucciso mio fratello. E io spiego loro chi era Peppino, che cosa ha fatto. E perché è morto. Molti giovani che vengono qui poi ripercorrono simbolicamente i cento passi che separano la nostra casa da quella del boss Badalamenti. È diventato una specie di rito. E va bene così».
Turismo vuol dire anche sviluppo, occasioni di lavoro, no?
«Esattamente. E non mi sembra che ci sia niente di male.
Peppino che si prende la casa del suo carnefice: i cento passi percorsi fino in fondo per lultima volta?
«Sarebbe una rivincita per Peppino e una grande vittoria simbolica sulla mafia».
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