Potremmo chiamarla la mamma di True Blood. E qualcuno potrebbe chiamarla l’anti Sthepenie Meyer, anche se i suoi vampiri «sudisti» sono nati prima del successo di Twilight. Quello che è certo è che Charlaine Harris ha inventato una saga a «lunga corsa» editoriale esplosa in un successo travolgente (è stata in classifica per oltre 120 settimane nella bestseller list del New York Times; quinta autrice più venduta in America nel 2009, con oltre 4 milioni di copie).
I suoi libri prima hanno coinvolto gli appassionati del genere con uno stranissimo horror-rosa-fantasy poi hanno dato origine ad una serie televisiva che ha coinvolto nella moda vampirica un pubblico più adulto di quello che si era innamorato di Buffy. Un pubblico che quando spegne il televisore va in libreria e che ora si vede arrivare per le mani (da oggi) Un tocco di morte (Fazi, pagg. 174, euro 16), raccolta di racconti che per certi versi riempie alcuni vuoti temporali della serie incentrata su Sookie Stackhouse e i suoi complessi rapporti con i non morti.
Signora Harris lei è cresciuta in Lousiana, uno degli stati americani con più atmosfera di mistero...
«Io sono cresciuta nelle vicinanze del delta del Mississippi... Non è una zona piena di storia ma di mistero certamente sì. Ed essere nata in un luogo del genere ha influenzato il mio stile di scrittura in maniera assoluta. Io ho assorbito le maniere i modi e la cultura del profondo sud e questo ha lasciato in me un’impressione indelebile».
Come le è venuta per la prima volta l’idea del personaggio di Sookie Stackhouse?
«Volevo scrivere di una donna che avesse una serie di appuntamenti galanti con un vampiro e mentre quest’idea mi frullava in testa ho iniziato a costruire il personaggio attorno a quello. Il resto è andato pian piano al suo posto: sono saltate fuori sua nonna, suo fratello maggiore, il fatto che lei si senta una sorta di emarginata, la telepatia e i guai conseguenti...»
È un personaggio con un carattere deciso e solare ma con una vena di malinconia e solitudine fortissima o mi sbaglio?
«Sì, in definitiva nei miei romanzi le tocca di affrontare situazioni veramente terribili, e io ho trovato naturale che questa serie di guai la toccassero nel profondo. E poi io ho immaginato la telepatia come una situazione che crei un forte senso di solitudine...».
Ma lei lo vorrebbe un fidanzato vampiro?
«No, no davvero! Io sono stata sposata con un umano per moltissimi anni. Non penso mi piacerebbe flirtare con un vampiro. Mi piacciono gli uomini caldi e che respirano».
Quali sono le caratteristiche fondamentali che hanno reso un successo la serie di The Southern Vampire Mysteries?
«Non sono proprio sicura... Se proprio devo dire mi sembra di aver centrato il giusto bilanciamento tra azione, sesso, violenza, e intrigo».
Cos’è per lei la narrativa dell’orrore?
«Questa è una definizione difficile da dare. In America il mio stile di scrittura non è classificato come horror mi inseriscono nel nuovo genere dell’urban fantasy. La letteratura horror deve catturare il lettore, deve spaventarlo e metterlo allo stesso tempo in uno stato di suspense. Io posso anche permettermi di farlo ridere».
Cosa differenzia il suo mondo fantastico da quello di altre autrici specializzate in vampiri come Stephenie Meyer?
«Secondo me i libri di Stephenie Meyer sono pensati per lettori giovani. Io ho scritto per gli adulti. Anche se conosco persone che si sono appassionate ad entrambe le serie».
Nella sua serie i vampiri sono psicologicamente complessi, non sono solo superuomini bellocci. Danno l’impressione di star compiendo un percorso di riumanizzazione. È così?
«Nel mio mondo, i vampiri mantengono ancora tutte le loro caratteristiche e il loro carattere umano, tuttavia come indurito e in molti sensi reso più crudele. In un certo senso semplicemente sono stati resi più “pratici” dalla lunghezza della loro, diciamo così, vita post mortem. Io non cerco di non descrivere mai alcuno dei miei personaggi come fosse completamente buono o completamente cattivo».
Perché i vampiri piacciono così tanto ai lettori giovani?
«Piacciono ai lettori di tutte le età. Io ho dei fan trigenerazionali: la nonna, la madre, la figlia... E adoro questo fatto. Però è vero che quando sono venuta in tour in Europa ho avuto l’impressione che i lettori fossero molto più giovani».
In che cosa la serie televisiva True blood si discosta di più dai suoi romanzi?
«Le differenze sono molte. Ci sono personaggi che nei libri muoiono e nella serie restano vivi e vegeti e vice versa. Anche la mitologia che fa da sfondo è leggermente differente, e il plot ovviamente è stato riadattato... Credo che la parte comune ad entrambe è la capacità di mantenere il divertimento pur usando dei mezzi diversi».
Quali sono le sue abitudini di scrittura?
«Impiegatizie, vado a lavorare tutte le mattine come fa molta altra gente. Lavoro nel mio ufficio che è separato da casa mia. Faccio pausa pranzo e alle quattro o alle cinque stacco. Scrivo al computer e non faccio abbozzi preliminari».
Mi racconta le altre sue tre serie di romanzi, quelle incentrate su Aurora Teagarden, Lily Bard e Harper Connelly, che il pubblico italiano conosce meno?
«Io ho scritto tre altre serie. La prima è incentrata su una libraia della Georgia chiamata Aurora Teagarden, e si tratta di mystery molto tradizionali, per quanto un po’ più sanguinarie del solito. Ho molto amato scriverle. La saga di Lily Bard era invece più spostata dal lato del noir. Raccontano di una donna delle pulizie con un terribile passato. I libri di Harper Connelly hanno invece sia elementi legati al soprannaturale che elementi di mystery. La protagonista è stata colpita da un fulmine e da allora ha la capacità di ritrovare cadaveri e rivivere i loro ultimi momenti di vita. E trasforma questa dote in un lavoro».
Quali sono i suoi prossimi progetti librari?
«Ho appena finito l’undicesimo romanzo di Sookie; si chiama Dead Reckoning. Ora vorrei lavorare ad un differente progetto e solo dopo scriverò “Sookie 12”».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.