Diego Pistacchi
Sono 1700 nel comitato. Ormai solo circa 4000 in tutta Italia. E non chiedono troppo, se non il diritto alla salute. Sono i camalli beffati dai sindacati e da quei politici che la legge sull’amianto l’hanno fatta, sbandierata ai quattro venti, e poi applicata a quelli che ne avevano meno diritto di tutti. Loro, i camalli degli anni Cinquanta, quelli che le merce varie se le trascinavano sulle spalle, quelli che gru, muletti e container non li usavano, ora chiedono di non passare per fessi.
Se la legge riconosce benefici e «sconti» sugli anni da lavorare prima di andare in pensione è solo perché loro, per decenni, quell’amianto lo hanno scaricato dalle navi quando viaggiava grezzo, non lavorato, in polvere. Loro lo respiravano a pieni polmoni, prima che lo si scoprisse cancerogeno. Ma la legge si applica solo a quelli andati in pensione dopo il 1992.
Ecco perché ormai due anni e mezzo fa è nato il Comitato ex Lavoratori Portuali Culmv, che ha già raccolto 1700 adesioni e 6000 firme. Attilio Gattorno, che è uno dei promotori, adesso vuole tirare le somme: «Non c'è più tempo, ne abbiamo concesso a tutti, abbiamo scritto a tutti gli enti locali, ai parlamentari, ai sindacati, ma non abbiamo ancora ottenuto niente di concreto». La battaglia ormai è alla stretta finale. O i vecchi camalli ottengono qualcosa, o devono fare il passo decisivo, quello che più di uno ha già mostrato di temere. «Andiamo alla Corte europea di Strasburgo - incalza Libero Bugatto -. Lavoravamo con le regole del Cap prima e dell'Autorità Portuale dopo. Vogliamo sapere chi era il responsabile per la nostra salute. Ci dovrà pur essere qualcuno che risponda per noi».
Toni duri, che hanno già smosso qualcosina. Ma non abbastanza. Soprattutto là dove un lavoratore dovrebbe sentirsi dare ragione per statuto. «Lasciamo stare i sindacati - attaccano i pensionati Culmv -. Sono sempre stati incapaci di fare un discorso sociale. A noi nessuno si è mai dedicato, anzi, non siamo neppure riusciti a ottenere un incontro con i vertici nazionali. L'unico dirigente che ci ha incontrato è stato Sergio Migliorini, dirigente regionale della Cisl. Per il resto, solo tante belle parole, tante adesioni formali alla nostra causa e la solidarietà. Nei fatti, niente. A livello politico dobbiamo dire che il ministro Claudio Scajola e l'onorevole Giorgio Bornacin hanno ascoltato con attenzione le nostre istanze. È stato già qualcosa, un segno di disponibilità». Poi Gattorno e Bugatto mostrano tutte le ricevute delle raccomandate spedite a mezzo parlamento e persino al Quirinale.
Chi ha usufruito della legge sull'amianto è andato in pensione prima, ha risparmiato anni di fatica in banchina e soprattutto a fine mese incassa assegni ben più alti di quelli che toccano ai vecchi camalli. Ma soprattutto è stato esposto meno alla sostanza cancerogena. Il rischio di contrarre il «mesotelioma pleurico» per loro è più basso. «Molti di noi invece sono già morti - ripete sconsolato Libero Bugatto -. E nei prossimi anni saremo sempre meno. Per questo mi sembra assurdo negarci quello che chiediamo. La spesa è davvero minima, già siamo al massimo 4.000 in tutta Italia, non ci sembra uno sforzo economico impossibile». E dire che i camalli di lungo corso, almeno in prima istanza, non chiedono neppure soldi. «Certo, poi trattiamo anche di quelli - interviene Attilio Gattorno -. Ma la cosa che più ci preme è ottenere che chiunque di noi dovesse essere colpito dalla malattia conclamata abbia almeno diritto a corsie preferenziali per il sistema sanitario nazionale, senza liste di attesa, e a cure totalmente gratuite. Non abbiamo neppure diritto a questo». Una beffa, soprattutto considerando che uno studio dell'Ist di Genova ha già certificato l'altissima incidenza di tumori tra chi ha lavorato in porto a contatto con amianto grezzo. «E dire che in pensione con tanti anni regalati ci è andato magari qualcuno che non ha mai visto una calata, ma in porto stava in un ufficio dove passava un tubo del riscaldamento rivestito ma ben più sicuro dei sacchi di amianto grezzo in fibra che caricavamo sulle nostre spalle», scuote la testa Bugatto.
Il diritto alla salute prima di tutto. Poi ci sono anche i soldi. Ma non tanti. «Il ministro Rocco Buttiglione ci ha chiesto di fare una proposta - concludono gli esclusi dalla legge 257/92 -. È molto semplice, calcolata sulla pensione sociale, che allora era di 400.000 lire al mese.
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