L’amore dietro le sbarre è un pezzo di carta. Con appiccicato un ritaglio di giornale e un disegno fatto male. Lui è Olindo Romano, accusato di essere uno degli autori della strage di Erba. Lei è Rosa Bazzi, complice del marito «nella buona e nella cattiva sorte». Come andrà a finire si saprà a fine mese, dopo la requisitoria del pm (prevista per 17 novembre) e l’arringa dei difensori, anche se il verdetto di colpevolezza sembrerebbe già scritto da tempo. Come quelle frasi d’amore dell’ultimo pizzino di Olindo: «Mia cara Rosa, ti hanno tagliato lo stelo per farti appassire. Non aver paura. Il tuo Paperino ti proteggerà e farà rifiorire in tutta la tua bellezza di un tempo non troppo lontano. Tuo per sempre Olly».
Metafore da bambini, che Olindo non avrà neanche fatto fatica a spiegare a Rosa, sorridente e felice ma solo per un’ora. Chi c’è racconta che nella sala colloqui i due sorridono, si scambiano coccole, quasi indifferenza e tranquillità verso tutto il resto. Come in aula, del resto. E come ogni giovedì di ogni settimana, da gennaio a ieri l’altro, davanti agli sguardi ormai sempre meno perplessi delle guardie carcerarie del Bassone di Como. Lei che sorride, ma solo dopo che lui le legge quelle frasi. Perché lei è analfabeta. Non sa né leggere né scrivere. Forse sa uccidere, forse non sa nemmeno chi è Paperino.
Non è la prima volta che i due presunti assassini si scambiano messaggi d’amore. Nel diario-Bibbia, ora in mano agli inquirenti, Olindo aveva vergato con la matita altri pensierini per la sua amata. Tipo: «Olindo e Rosa Angela Uniti nella vita Come nella morte Nel nostro amore infinito E nel tuo perdono». Rosa è un chiodo fisso, per Olly, è al centro delle sue preghiere. «Madonnina della neve stai pregando su di me Preghi per quella donna che piange in carcere Per quell’uomo che piange nella sua cella Tra l’inverno tra il gelo e la neve Al tepore della primavera circondata di fiori sei tu!».
Ma stavolta il tono è diverso. «Non aver paura», scrive Olindo. E di che cosa? Cos’è che spaventa una donna accusata di aver sgozzato un bambino, dell’omicidio di altre tre persone, di aver dato fuoco ai loro corpi? La condanna all’ergastolo? No. Il carcere a vita? Nemmeno. Ha paura che quel foglio di carta, con quelle infantili parole d’amore, sia uno degli ultimi che il «suo» Olindo le leggerà. A Rosa della condanna importa poco. Sta morendo dentro per il terrore di essere separata dal marito. Anche Olindo ha paura che Rosa «appassisca». Tanto che davanti ai magistrati, dopo le confessioni poi ritrattate, e ancora agli avvocati e alle guardie carcerarie, e perfino in aula, i due a turno non perdono occasione di chiedere una «cella matrimoniale». Una richiesta farneticante, ma solo in apparenza. Perché loro vogliono solo stare insieme, fino alla fine. E invece le loro strade potrebbero dividersi.
Non è una «pena aggiuntiva», come peraltro vorrebbero i familiari delle vittime, che hanno perso tutto e per sempre. E dunque non sarà il giudice di Como Alessandro Bianchi a deciderlo. È una scelta che spetta solo all’amministrazione penitenziaria. E anche se questa voce non ha ancora conferme, in caso di condanna al termine del processo i due coniugi rischiano di finire in due istituti di pena diversi. Monza o Bollate lui, forse Opera lei. I due lontani, per la prima volta. Possibilità di vedersi, zero o poco più. Per ora sono solo voci. Come tante. Che però bastano a turbare Rosa e a spingere Olindo a darle forza. Perché la separazione, a questo punto, sarebbe peggiore dell’ergastolo, per chi si è giurato amore eterno, per chi ha vissuto, e forse ucciso, insieme. Sarebbe davvero «fine pena, mai».
Ci sono due persone che prima si autoaccusano di 4 omicidi, poi ritrattano. Che prima chiedono il perdono dei familiari delle vittime e poi le accusano.
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