I vescovi: «I preti tv? Troppi stereotipi da Sherlock Holmes»

I vescovi: «I preti tv? Troppi stereotipi da Sherlock Holmes»

Roma Fuori uno, sotto un’altra. E a chi trova la cosa ripetitiva, rispondono i numeri. 8 milioni 171mila telespettatori, uno share del 30,45 per cento. Come a dire: dopo Fiorello, a piacere a tutti è rimasto solo Don Matteo. Ecco perché, visti gli ascolti dell’ultima puntata, per il prossimo giovedì Raiuno ha già pronta la suora-detective. Dalla canonica al convento. Ma sempre per «indagini in sagrestia». E al posto di don Terence Hill, suor Elena Sofia Ricci. «Sì, perché almeno sulla carta Che Dio ci aiuti avrebbe tutti i numeri per ereditare stile e platea di Don Matteo - commenta monsignor Dario Viganò, presidente della fondazione Ente dello Spettacolo (cioè dell’organismo CEI che promuove la cultura cinematografica)-. Ha per protagonista una figura familiare come quella della suora, che fa appello al sentire comune che nelle persone consacrate identifica figure rassicuranti». Ma attenzione: operazioni simili «comportano qualche rischio. Quello che la semplificazione narrativa ne banalizzi la figura. E la ripetitività delle avventure, costruite su schemi uguali a sé stessi, li trasformi in stereotipi».
Un’occhiata alla struttura di Che Dio ci aiuti (sempre prodotto dalla Lux Vide) conferma: suor Angela (Ricci) raccoglie ragazze irrequiete come Azzurra (Francesca Chillemi) nel convento degli Angeli Custodi di Modena, e invano trattenuta dalla superiora brontolona (Valeria Fabrizi), fa a gara col vero ispettore Ferrari (Massimo Poggio) nello scoprire misteri e malviventi. «Esattamente lo stesso meccanismo giallo-commedia della Signora in giallo, che già abbinato alla veste religiosa in don Matteo, ora passa a suor Angela - riassume monsignor Viganò -; una veste che certo avvantaggia il prodotto. Non è un caso che le fiction religiose primeggino nelle top ten degli ascolti: rispondono ad un diffuso bisogno spirituale. E anche un prodotto d’intrattenimento come Che Dio ci aiuti ci guadagnerà. Il rischio è il luogo comune. Ma meglio questo tipo di fiction che niente». Già: perché religiosi come Matteo o (presumibilmente) Angela sono degli stereotipi. E anche antiquati: «Quanti sacerdoti oggi indossano ancora la sottana? Quanti vanno in bicicletta o hanno tempo di giocare a scacchi? Questo è il religioso come se l’immagina chi i religiosi non li conosce. O deve fornirne al pubblico un’immagine non problematica».

Eppure nella realtà esistono già i frati-indovini, i preti-rock, le suore-cuoche, che fra i tanti carismi della Chiesa ci sia posto anche per i preti-detective? «Un religioso è sempre in cerca della Verità. Ma da qui a trasformarsi in Sherlock Holmes...».

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