Roma - Se non esiste un criterio oggettivo per giudicare ciò che è buono e vero, se il parere dell’opinione pubblica diventa l’unico criterio di giudizio morale, «è difficile valutare i comportamenti». È questa la riflessione che il presidente della Cei Angelo Bagnasco ha proposto sabato sera agli animatori della comunicazione della diocesi di Genova. L’arcivescovo ha citato esempi concreti, affermando che senza un riferimento a criteri oggettivi non si capisce perché si debba dire di no alla legalizzazione dell’incesto e della pedofilia. E il suo intervento ha provocato una bufera di reazioni.
Bagnasco, dopo aver spiegato che la Nota della Cei sui Dico «cerca di parlare soprattutto, all’intelligenza comune, al buon senso, alla ragione attraverso delle motivazioni di tipo antropologico», ha aggiunto: «Nel momento in cui si perde la concezione corretta autotrascendente della persona umana non vi è più un criterio di giudizio per valutare il bene e il male e quando viene a cadere un criterio oggettivo per individuare il vero e il falso, l’unico criterio o il criterio dominante è il criterio dell’opinione generale. Diventa allora difficile dire dei no, scoprire indirizzi in ordine al bene». Bagnasco ha quindi proseguito con una serie di domande: «Perché dire di no all’incesto, rifacendosi a una nota situazione in Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme? Perché dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano?».
«Oggi ci scandalizziamo – ha concluso il presidente della Cei – ma, a pensarci bene, se viene a cadere il criterio antropologico dell’etica che riguarda la persona, che è anzitutto un dato di natura e non di cultura, è difficile poi dire dei “no”. Se il criterio unico e assoluto del bene e del male è la libertà di ciascuno, come scelta, allora diventa possibile tutto. È necessario guardare la natura umana, ciò che la persona è in se stessa, per poter agire con coerenza verso ciò che si è per esprimere se stessi al meglio».
Come si vede, Bagnasco, spiegando il senso della recente Nota della Cei sulla famiglia e sui progetti di legalizzazione delle unioni di fatto e gay, non ha affatto messo questi ultimi sullo stesso piano dell’incesto e alla pedofilia. Ha detto, invece, che la mancanza di un criterio oggettivo, fondato sulla morale naturale e condiviso non sulla base di un presupposto confessionale ma sulla base della ragione, la mancanza di un riferimento alla realtà della persona può arrivare a giustificare tutto. E gli accenni all’incesto e al partito che vuole autorizzare la pedofilia tra persone consenzienti, non sono invenzioni o immotivati timori clericali. Si tratta, invece, di «germogli iniziali», di esempi già presenti nella nostra Europa, come nel casi specifici citati. Quello dei due fratelli conviventi che hanno avuto dei figli (i media avevano inizialmente ambientato la storia in Inghilterra, ma in realtà si è verificata a Lipsia, in Germania), quello del partito olandese che si batte per rendere legale il rapporto erotico tra un adulto e un bambino che abbia compiuto dodici anni. «Oggi tocchiamo con mano – ha detto l’arcivescovo di Genova – le conseguenze di questi movimenti che sono nati anni addietro. Tutti vanno a parare su un’unica questione che sta alla base di tutte le altre questioni sensibili: l’uomo, la concezione antropologica». Il presidente dei vescovi italiani ha definito «profetica» l’intuizione del suo predecessore Camillo Ruini che nel 1994 ha dato vita al Progetto Culturale della Chiesa italiana capendo prima di altri «dove stavano andando alcuni movimenti culturali europei».
Nella serata di ieri, dopo l’infuriare delle polemiche, la Curia genovese ha diffuso un comunicato nel quale si afferma che l’intervento dell’arcivescovo «è stato male riportato con titolazioni e sintesi sommarie che risultano parziali e fuorvianti».
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