Era il 1998 quando i videogiochi decisero di fare sul serio e di sfidare i romanzi sul piano della complessità narrativa: uscì Blade Runner, ispirato al film di Ridley Scott, e molti parlarono di «libro interattivo» in cui la trama noir, credibile, era influenzata in misura decisiva dalle scelte del giocatore. Il gioco era soprattutto di strategia. L’azione, rispetto allo standard, era ridotta al minimo. I finali possibili erano limitati ma garantivano un’ampia possibilità di sbizzarrirsi e di ricominciare da capo senza incorrere in troppe noiose ripetizioni.
Da allora l’industria si è scatenata, e oggi lo studio francese Quantic Dream sforna un titolo, Heavy Rain, che ha l’ambizione dichiarata di competere con prodotti non più così lontani dalla consolle: fiction e film. E non è quindi un caso che il New York Times abbia recensito Heavy Rain nella sezione riservata al cinema. Se Blade Runner era un «libro interattivo», Heavy Rain è anche un «film interattivo». In effetti ha un regista e autore del soggetto, David Cage, e le espressioni del viso dei personaggi digitali (quasi perfette) sono modellate su ore e ore di recitazione di veri attori. Ma la vera differenza rispetto agli altri giochi, secondo Cage, è un’altra: Heavy Rain punta a coinvolgere emotivamente il giocatore e non solo a intrattenerlo con enigmi o sparatorie. Ci riesce? Vediamo. La storia è atroce e rivela subito il target di questo prodotto: qui si mira all’anima e al portafogli degli adulti. Difficile Cage possa conquistare gli adolescenti. Heavy Rain è un giallo, per di più con molteplici soluzioni a seconda delle vostre decisioni, quindi non tutto si può raccontare. In città c’è un serial killer di bambini. Li rapisce e li lascia morire annegati dall’acqua piovana. E nella maledetta metropoli è tutto un susseguirsi di temporali. Ora immaginate che il pupo in pericolo sia vostro figlio. Cosa sareste disposti a fare per salvarlo? Voi, persone perbene, quali valori morali siete pronti a infrangere? Oltre al padre disperato, manovrerete altri personaggi: un detective privato, un poliziotto, una giornalista affascinante. Ciascuno dei quali potrebbe giungere alla soluzione del rebus. Oppure morire perché avete sbagliato qualcosa. E se sbagliate troppo, oltre a loro, morirà anche il vostro figlio virtuale. Infatti in Heavy Rain non è detto che alla fine vincano i buoni. Capita di fare errori grossolani, tipo accettare un drink da uno sconosciuto, e di finire all’altro mondo. Capita di fare mosse avventate, tipo sparare troppo presto a un testimone chiave. Capita di non avere il coraggio di compiere certe azioni, nemmeno per gioco. Capita di non capire la psiche di chi vi sta davanti, e quindi di non riuscire a intavolare una discussione che potrebbe essere decisiva. Potete decidere quasi ogni mossa e ogni decisione porta con sé un mucchio di conseguenze. L’intreccio è aperto e prende la direzione che voi gli imprimete.
Per catturarvi, David Cage, oltre allo splendore delle immagini, ha inventato un certo numero di trappole. Nel gioco potete, raramente dovete, fare alcune cose insensate ai fini della trama. Fare la doccia, aprire la posta, guardare la televisione, andare in bagno etc. etc. Il trucco è decisivo. Garantito: una volta immersi in Heavy Rain non vorrete far patire la sete al vostro avatar e dovrete farlo bere (naturalmente vi verrà sete anche nella vita reale, e dovrete stappare una birra insieme, lui nello schermo, voi in salotto). Poi lo costringerete a cucinare un paio di uova, nonostante nella vita reale siate disposti a tutto pur di non spadellare. Il secondo trucco è poter ascoltare i pensieri del vostro avatar. Sarete curiosi di sapere ciò che lui (cioè voi...) sta soppesando in silenzio. Il terzo trucco sono ampie digressioni sui singoli protagonisti, che vi faranno familiarizzare con i loro traumi passati. Il terzo trucco è tecnico e consiste nella gestione ansiogena dei comandi: quando l’avatar è sotto stress, diventa più stressante districarsi nelle combinazioni di tasti, che si complicano sempre più.
Per il resto Heavy Rain ha un ritmo lento rispetto alla media dei videogiochi, normale invece per certi thriller d’atmosfera o per una fiction. I rimandi al grande schermo sono dichiarati: chi ha visto Seven e Blade Runner troverà ambienti familiari. I videogiocatori troveranno invece alcune caratteristiche di «classici» del passato: il citato Blade Runner; Il padrino, per l’ampia gamma di sfumature psicologiche con le quali gestire i dialoghi fra i vari personaggi; la serie dei Sims, per l’attenzione a certi fatti minimi della vita quotidiana.
Libro interattivo? Film interattivo? La questione in fondo è oziosa. Videogioco e basta. Un genere d’intrattenimento che ha ormai i mezzi per competere con gli uni e con gli altri. Anzi. Il thriller medio da classifica spesso non ha la profondità e lo spessore narrativo di un gioco come Heavy Rain. I videogame e alcune fiction (non tutte ma giusto per intendersi: Dexter, il primo Dottor House, i classici Soprano, Californication, Sons of Anarchy e qui mi fermo) hanno levato brutalmente lo scettro alla romanzeria media proprio nell’ambito peculiare di quest’ultima: saper raccontare una storia come si deve. Così mentre i bestselleristi sono abbonati alla sciatteria, gli sceneggiatori offrono vero spettacolo.
Non è forse casuale che il romanzo vada a rimorchio del videogioco: da Assassin’s Creed a Doom, prima arriva il game, poi il volume e non viceversa come un tempo.Che giochi e fiction abbiano ormai occupato una casella rimasta libera, quella dei fogliettoni d’avventura di una volta?
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