I vinti della Rsi e la corona che fa paura al sindaco Sala

I morti non verranno a chiedergli conto del suo comportamento. Ma un giorno la storia gli chiederà ragione di quella pietà negata ai morti

I vinti della Rsi e la corona che fa paura al sindaco Sala

Basta. «Mai più» ha tuonato ieri il sindaco Giuseppe Sala, sicuro che quei morti non verranno a chiedergli conto del suo comportamento. Sarà magari la storia e non la cronaca a chiedergli un giorno ragione di quella pietà negata ai morti. Siano pure quelli che (secondo lui e compagni) stavano dalla parte sbagliata. Perché nessun Paese e nessun secolo ha mai tolto alla porzione di camposanto che raccoglie i vinti anche della più sanguinosa guerra civile, l'onore che si deve ai combattenti caduti per un'idea. Sia pur quella sconfitta sul campo, così come pretende di fare il sindaco, sobillato da «grillini», sinistri estremi, renziani e non renziani finalmente d'accordo su qualcosa: impedire che l'anno prossimo il Comune depositi ancora una corona nel Campo 10 del cimitero Maggiore, quello dell'«Onore» che raccoglie 921 morti tra militi della Repubblica sociale, fedelissimi del Fascismo (rivoluzionario e non regime) come Alessandro Pavolini e Francesco Maria Barracu, eroi di guerra come Carlo Borsani e grandi attori come Osvaldo Valenti e Luisa Ferida. Solo i nomi più celebri di una grande avventura a cui parteciparono tanti nostri genitori, nonni, zii, mariti delle zie e amici dei nonni, così spesso ricordati nelle famiglie durante i pranzi delle feste molto spesso come persone moralmente irreprensibili e altrettanto spesso tutt'altro che sanguinarie. Un ricordo che non tocca il sindaco Sala e i compagni che nonni o zii fascisti li hanno dimenticati e che dall'anno prossimo negheranno loro anche un fiore il giorno dei morti.

Ricordo e omaggio che nemmeno sindaci dall'irreprensibile pedigree antifascista come Giuliano Pisapia, Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri si erano permessi di negare nei 25 anni in cui il Comune ha puntualmente inviato la sua corona anche su quell'erba bagnata dal sangue dei vinti. Maledetta da chi oggi si dice partigiano senza averne non diciamo l'orgoglio, ma nemmeno l'età.

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