I volontari ce l'hanno messa tutta Troppo facile criticarli in poltrona

Il corpo di Yara è stato trovato dopo tre mesi. Prendersela con padri di famiglia che hanno speso passione e tempo nelle ricerche è crudele

I volontari ce l'hanno messa tutta 
Troppo facile criticarli in poltrona

D’accordo, magari i supercani «molecolari» avranno qualche limite, a dispetto delle loro 200mila cellule olfattive che dovrebbero farne dei segugi senza limiti, eppoi tutti quei volontari affiancati dagli esperti cinofili di tutte le polizie e i volontari di Stato possibili. E ora tutti a crocifiggerli: hanno fallito tutti. Dov’è il colpevole, chi ha sbagliato? Ce ne deve per forza essere uno?
Yara era lì, eppure nessuno la trovava. Duecento chilometri quadrati percorsi, come si dice in gergo «a raggio», partendo da un punto concentrico girandoci attorno, frugando palmo a palmo, andando tra montagne e torrenti. Un paio di metri di distanza tra un uomo e l’altro, tutti dietro a seguire quattrozampe magari distratti da una lepre o dal profumo di una preda. Instancabili, sono andati avanti per giorni, hanno sacrificato i propri pensieri e il proprio tempo. E ora per loro dev’essere una vera beffa essere marchiati come «falliti», come degli scansafatiche che non si sono nemmeno dati la briga di scansare qualche filo d’erba e dare un’occhiata più a fondo.
Troppo facile criticare mentre si sta seduti in poltrona a pontificare. Pioveva il giorno il cui scattarono le ricerche di quella tredicenne che amava volteggiare nel centro sportivo di Brembate, una promessa raccontano le allenatrici, forse soltanto una più convinta, o appassionata, delle altre. Poi arrivò la neve. Quaranta-cinquanta centimetri capaci di imbalsamare un corpo. Basta anche questo per assordare il silenzio. Chissà le critiche di oggi come suonano alle orecchie di Giovanni Valsecchi, responsabile della Protezione civile di Brembate che non riesce a darsi pace. Non ha dormito per l’intera notte, non trova spiegazioni, anzi adesso è lui a pretenderle.
Pioveva, quella domenica di novembre in cui, a oltre trenta ore dalla sparizione, partirono le ricerche di quella ragazzina con l’apparecchio in bocca, i fuseaux da ginnastica, la maglietta dell’Italia, e un giubbotto nero firmato «Hello Kitty». Poi cominciò a nevicare. Faceva freddo, davvero, in quei giorni. La neve resisteva ai passi, come camminare sul ghiaccio. Cos’altro potevano fare tutti quei padri di famiglia, a camminare per chilometri, mentre i critici di oggi li guardavano dalla tv?
I cani «robot» dopo aver annusato la palestra da cui era appena uscita poco prima delle 19 del 26 novembre scodinzolarono verso Mapello, in un cantiere. E lì si fermarono.
Yara, tre mesi dopo (esoterici e criminologi d’assalto già scommettono sulle date), è stata trovata a nemmeno dieci chilometri di distanza con gli occhi rivolti al cielo, sdraiata sotto un metro e mezzo d’erba che la «proteggeva» come cipressi. Lì sono passati e ripassati gli uomini che la cercavano. Destino beffardo o la mano di un assassino sfrontato?
I volontari di Brembate e dintorni hanno fatto di tutto. E ora non si danno pace, come dimostrano le parole di Valsecchi: «Sono sicuro che qualcuno non ha detto tutto, non in malafede, ma con la convinzione che parlando avrebbe intralciato il ritrovamento di Yara». Tanta fatica, il dolore di aver perso la ragazza e ora le critiche: una beffa crudele. «Non è questa la conclusione che avremmo voluto, per tre mesi trovare quella ragazza è stato il pensiero fisso di tanti di noi, io me la sognavo anche di notte, sognavo di trovarla in mezzo al fango».
Possibile che con tanta passione non l’abbiano trovata? Possibile. Desire Piovanelli, 14 anni, fu stuprata e massacrata 11 anni fa a Leno, provincia di Brescia. La cercarono per giorni, i soliti segugi fiutarono e non trovarono nulla. Il cadavere fu trovato a un centinaio di metri da casa, in una cascina abbandonata. Colpevoli un vicino di casa cocaionamane e un branco di minorenni.
Anche lì fallirono pure i supercani. Esattamente come a Parma, Casalbaroncolo per l’esattezza, una casa sperduta tra i campi, il piccolo Tommaso strappato ai suoi genitori in un violento blitz notturno. Fuggirono in motorino, potandosi via il piccolo. Anche allora i mastini annusarono, e zampettarono per qualche decina di metri. Si scoprì dopo: erano arrivati fino al motorino sul quale erano fuggiti i rapitori con in braccio il piccino. Venti metri di distanza da casa. Poi il vuoto.

Lo trovarono morto, il piccolo Tommy, quaranta giorni dopo, a una ventina di metri dalla rientranza in cui si appartavano un paio di prostitute più nere della pece. Sotto dieci centimetri d’erba.
Anche lì i cani bionici non riuscirono ad arrivare. Eppure lo avevano ucciso nemmeno venti minuti dopo.

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