Idolo di un povero Diavolo segnando un gol nel derby

Eppure Gattuso dovrebbe intendersi di pesci, tale è la sua attività commerciale, football a parte. Evidentemente non conosce a fondo lo squalo. Joseph Jordan, detto big Joe, è stata una fetta importante del calcio scozzese, cinquantadue presenze in nazionale, una decina di “cap”, i cappelli in velluto che la federazione dona ai calciatori come memoria delle loro partecipazioni (gli inglesi ne riservano uno a presenza, gli scozzesi, per non venir meno alla fama, uno per anno), un gol per ogni mondiale disputato (3, record in coabitazione con Dalglish), caldo ricordo per i tifosi rossoneri della curva, per quella rete realizzata di testa nella porta di Bordon, un derby di coppa Italia, Joe Jordan che alza le braccia al cielo e sostiene, come piccioni sul monumento, Ruben Buriani e Francesco Romano che lo abbrancano al collo e tentano la risalita. Era il settembre dell’81, con quel gol il Milan passò in vantaggio 2 a 1 poi Bergomi pareggiò al penultimo minuto.
Bastò quel fotogramma, bastò quel gesto plateale, sotto la curva rossonera per trasformare Jordan nell’idolo dei tifosi. Era un Milan disgraziatissimo, per le vicende societarie, con Giussy Farina alla presidenza sbilenca. Era il Milan di Gigi Radice che un pomeriggio decise di «spezzare le reni allo scozzese» reduce da una partita con la Scozia contro l’Olanda. Jordan si presentò in ritardo a Milanello, a causa della nebbia che aveva ritardato il suo volo da Londra. In più si era procurato uno stiramento alla coscia destra, un’occasione in più, appunto, «per spezzare le reni allo scozzese», come disse Radice a Italo Galbiati. Così fu e segnò l’inizio della crisi tra il calciatore e l’allenatore.
Jordan ha conservato affetto e tifo per il Milan, i suoi figli Thomas e Andrew conservano bandiere e gagliardetti, l’amore per il Milan è ancora più forte del rapporto che lo legò al Leeds (giocò la finale di coppa delle coppe a Salonicco vinta dai rossoneri con un gol di Chiarugi) e al Manchester United. Passato dal Milan al Verona di lui Osvaldo Bagnoli ebbe a dire: «E’ il più serio e corretto professionista che io abbia mai allenato». Roba piccola, ovviamente, per un campione del mondo come Rino Gattuso ma qualcuno dovrà pure aggiornare le informazioni e le enciclopedie di questi nostri bravi ragazzi, tutti bravehearts, cuori impavidi ma anche hooligans imprevisti.


Jordan non apre bocca, è rientrato a Londra, prepara i prossimi impegni degli Spurs, sa che ci sarà una partita di ritorno «molto delicata», sa che l’italiano focoso di martedì notte non sarà in campo per squalifica ma ha scelto di non aggiungere parole alle scene volgari di San Siro, ha la valigia carica di mille episodi forti, lo amareggia il fatto che tutto ciò sia accaduto al Meazza, con la squadra che ha ancora nel cuore. Per Joseph Jordan il caso è chiuso, per altri è l’occasione di chiedere scusa. Per paura di una sanzione. Non per coscienza e vergogna di se stessi.

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