Ma a chi vanno i milioni dei rimborsi elettorali che spettano allIdv? La domanda è ancora la stessa e riguarda le famose (e fumose) vicende dell«Associazione» Idv (e dei suoi conti bancari, dove sono confluiti i fondi pubblici) ben distinta dal «movimento politico» dellIdv (quello che elegge i parlamentari). Domanda che torniamo a fare perché un chiarimento vero non cè stato e poi perché abbiamo dato unocchiata al calendario. Sta infatti per arrivare una cascata di soldi pubblici nelle casse del partito di Di Pietro (e, beninteso, di tutti i partiti) entro due mesi circa.
Il prossimo 31 luglio è la scadenza entro cui le tesorerie di Camera e Senato effettueranno un bonifico a molti zeri per «rimborsare» (ovvero per finanziare) lIdv e gli altri partiti in ragione di tre distinte voci: i soldi per le elezioni europee, i soldi per lattuale legislatura e poi (sembra assurdo ma è così) quelli per la legislatura precedente. Sì, quella finita lanno scorso: la paghiamo ancora, e grazie a una modifica legislativa del 2006, continueremo a pagarla per altri quattro anni, fino alla fine, come se il governo Prodi fosse vivo e vegeto. Miracoli della Casta. In sostanza dunque paghiamo lIdv (e gli altri partiti) come se lavorassero il doppio, una legislatura al prezzo di due. Un mucchio di soldi. Per questo è il caso di tornare alla vicenda che riguarda lIdv e lo sdoppiamento tra associazione e partito rispetto ai finanziamenti pubblici.
Di Pietro dirà: ma che cazzecca, ho già spiegato tutto. In realtà il presidente dellIdv è ancora in debito di chiarimenti. Dopo che il Giornale sollevò la questione a gennaio (e solo dopo linchiesta) Di Pietro si sentì in dovere di rispondere (a Libero, non a noi) e di modificare lo statuto del partito per togliere ogni dubbio su dove finissero i soldi del rimborso elettorale. In quelloccasione il leader parlò dellatto notarile che sanciva la modifica statutaria. Ma quellatto non è mai stato reso pubblico, mentre sul sito internet compare solo una copia in pdf del nuovo statuto. Eppure i dubbi potrebbero essere sciolti solo dalla lettura dellatto depositato da un notaio di Bergamo. Chi dellIdv ha firmato quellatto? In altre parole, le modifiche allo statuto del partito da chi sono state approvate? Da un organo del partito o sempre dai membri dellAssociazione Idv, distinta dal partito? Risposte che solo il documento notarile potrebbe svelare.
Non avendo le carte e ragionando solo per supposizioni, se è vero come è vero (direbbe Di Pietro) che la modifica è stata fatta il 9 gennaio, si affaccia subito qualche dubbio. Primo: il vecchio statuto prevede che le modifiche statutarie possano essere fatte (art. 4) solo dall«Assemblea dei soci» dellAssociazione. Ma da chi era composta lAssemblea dei soci? Da tre persone: Di Pietro, lonorevole Silvana Mura e Susanna Mazzoleni, moglie di Di Pietro. È dunque ipotizzabile che la modifica allo statuto dellIdv, per sanare il dualismo tra associazione e partito e spogliare lassociazione del potere di approvare i rendiconti, sia stata fatta dallassociazione di famiglia? Se così fosse, obietta lavvocato Francesco Paola, legale del Cantiere di Occhetto, Veltri e Giulietto Chiesa (in causa con Di Pietro), latto «non avrebbe evidentemente nessun valore giuridico per il partito». Un rompicapo, un gioco di scatole cinesi con molte ombre. Per capirci, è come se Franceschini, sua moglie e un altro esponente del Pd scrivessero a casa loro lo statuto del Partito democratico. Qualcuno avrebbe certamente da obiettare, nellIdv invece no.
Diverso però sarebbe se quella modifica fosse stata firmata da un organo del partito, da unassemblea degli iscritti, insomma da qualche organismo che non coincida con lassociazione. Anche qui servirebbe latto del notaio per sapere come stanno le cose (e sarebbe gentile Di Pietro se volesse fornirlo per chiarire una volta per tutte questo punto). Ma se si ragiona ancora per supposizioni arrivano altri dubbi. Perché nel giro di sette giorni, dal 2 al 9 gennaio (dalla pubblicazione del nostro articolo alla modifica statutaria) è difficile che Di Pietro abbia radunato unassemblea di iscritti per deliberare le modifiche. Più probabile che la cosa sia stata risolta «in casa».
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