Domenica notte, nel corso di Milan-Lazio, è successo quel che da tempo accade nei nostri stadi. La fetta degli ulrà laziali, sistemati nel terzo anello di San Siro, ha preso di mira Clarence Seedorf. Ogni qualvolta l'olandese toccava un pallone partivano i booh che hanno fatto scattare l'allarme razzismo. Il quarto uomo ha addirittura preteso che venisse ripetuto l'annuncio: attenti, la partita può essere sospesa. Naturalmente con esiti modesti, molto modesti.
Il giorno dopo, si è messa in moto la solita macchina della burocrazia italiana. Tutti a esprimere solidarietà, tutti a condannare il gesto, compresa l'Aic, il sindacato dei calciatori. Ieri, Clarence Seedorf, intervenuto alla presentazione delle iniziative benefiche della sua fondazione, ha dato una lezione a tutti. E invece di cavalcare la tigre del razzismo, ne ha preso le distanze e in modo molto netto ha indicato una nuova strada da seguire. Nello specifico ha chiosato: «Non so niente, non ho scritto niente, non mi interessa parlarne». D'altro canto il contenzioso tra Seedorf e gli ultrà laziali non è dovuto al colore della sua pelle ma all'atteggiamento dell'olandese nella domenica dell'uccisione di Sandri, l'ultra laziale ucciso presso l'autogrill dell'autostrada, dal proiettile della pistola di un esponente della polstrada. In quella circostanza, Seedorf si rifiutò di indossare il lutto al braccio. «Lo faccio per persone che conosco e per motivi che condivido» spiegò alla fine. Non sapeva nulla della disgrazia e non voleva farsi coinvolgere. Liberissimo di farlo, naturalmente.
Adesso ha teorizzato un altro aspetto del calcio italiano. «Basta parlare di aspetti negativi, basta sottolineare queste cose. Guardiamo a quelle positive.
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