Ilda interroga anche a Ognissanti: lo sprint per incastrare il premier

L'ex questore Indolfi conferma: il pm dei minori diede l'ok al rilascio della ragazza. Il teorema: dimostrare che la ragazza marocchina fu salvata perché non raccontasse delle feste ad Arcore

Milano - È il giorno di Ognissanti a segnare la svolta nell’inchiesta milanese su «Ruby Rubacuori» e le sue visite ad Arcore. Sotto una pioggia incessante,l’ex que­store Vincenzo Indolfi varca la soglia degli uffici della polizia giudiziaria di piazza Umanita­ria. È la palazzina che vent’anni fa ospitava i «duri» della Flm, il sindacato dei metalmeccanici. Ma al quarto piano, Indolfi si tro­va faccia a faccia con una dura ancora più dura: Ilda Boccassi­ni, procuratore aggiunto della Repubblica, capo del pool anti­mafia. È alla dottoressa dai ca­pelli rossi che il neo- prefetto ieri mattina deve rendere conto di quanto accadde in questura nel­la notte del 27 maggio scorso, quando «Ruby» - al secolo Kari­ma Rashida el Marhug - venne fermata per furto e poi conse­gnata al consigliere regionale del Pdl Nicole Minetti, dopo una telefonata del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al capo di gabinetto Ostuni. La telefonata partì dal cellulare del caposcorta del Cavaliere, che poi passò l’apparecchio allo stesso Berlusconi. Finora quello relativo alla tele­fonata del premier era un ramo collaterale dell’inchiesta, im­p­ortante politicamente e giorna­listicamente ma di vaga rilevan­za penale. Invece è proprio quel­lo il fronte che Ilda Boccassini sceglie per entrare a rullo com­pressore sullo scenario dell’in­chiesta. Lo fa nel più classico sti­­le Boccassini: non da comprima­ria, ma da protagonista assolu­ta. Alberto Nobili e Pietro For­no, i due procuratori aggiunti che avevano seguito il fascicolo fin dal 2009, quando il nome di Karima era emerso nell'inchie­sta sulla prostituzione nei night milanesi, fanno un passo indie­tro. Da ieri, la Boccassini è domi­nus assoluta dell’indagine che scava sulle abitudini e le fre­quentazioni del presidente del Consiglio. Unico collaboratore della dottoressa resta Antonio Sangermano, il giovane pm asse­gnatario del fascicolo: proprio la promozione di Sangermano al pool antimafia, il 28 ottobre scorso, ha spianato la strada al «ribaltone» interno alla Procu­ra. Anche se il reato ipotizzato nel fascicolo - favoreggiamento della prostituzione minorile ­esula dalle competenze dall’An­timafia, la regola a Milano è che i pm che cambiano dipartimento portino con sé i loro fascicoli, e che a sovrintendere alla loro atti­vità sia il nuovo capo. Nel caso specifico, Ilda Boccassini. L’interrogatorio di Indolfi du­ra fino all’ora di pranzo. Il prefet­to entra ed esce da piazza Uma­nitaria da solo, senza avvocato. Vuol dire che non è indagato: né, d’altra parte, risulta ufficial­mente che sia stata aperta una indagine per abuso d’ufficio, o per qualsiasi altro reato connes­so alla telefonata. Ma questo non rende la posizione di Indol­fi più comoda, anzi. Costretto a dire la verità, il prefetto si trova a dover conciliare la sua versione - sintetizzata giovedì scorso in un comunicato - con quanto sta emergendo dalle indagini e da­gli articoli di giornale. Tema: il rilascio di «Ruby». Indolfi dice che tutto fu concordato con la Procura dei minori. Il pm che era di turno quella notte, Anna­maria Fiorillo, nega. Poiché del­la telefonata non pare ci sia regi­strazione, alla fine sarà la parola della polizia contro quella del magistrato. A chi crederà, Ilda Boccassini? Una cosa, però, pare certa: la questura non ha mai spiegato al­la Procura dei minori che si trat­tava di un «caso» speciale, tale da muovere persino un interven­to di Palazzo Chigi. Così la vicen­da della ragazza marocchina venne trattato come un caso qualunque, uno delle centinaia di storie di adolescenti sans toit ni loi che incappano di giorno e di notte nei controlli di polizia. Anche l’esito finale, la consegna ad un adulto disponibile a pren­dersene cura, sarebbe una pras­si non inconsueta. Anomalo, semmai, è che la persona sia sta­ta scelta nella Minetti, che fino a quella notte non risulta che fos­se in particolare confidenza con «Ruby». Ma, se un’ipotesi di reato su quella telefonata per adesso non c’è, perché la Boccassini ha scelto di partire a razzo proprio su quel versante? Semplice: per­ché dimostrare che intorno alla giovane immigrata si mosse una rete di soccorso di alto profi­lo sarebbe il riscontro migliore all’ipotesi su cui la dottoressa sta lavorando. E cioè che «Ru­by » fosse solo una pedina su una scacchiera assai affollata, in cui pezzi di varia importanza si muovevano avendo come uni­co obiettivo l’intrattenimento del capo del governo.

In sostanza, la Boccassini vuo­le verificare se il «salvataggio» di Ruby avesse come obiettivo evi­tare che la ragazza raccontasse quello che aveva visto: obiettivo mancato, visto che poco dopo la fanciulla ha iniziato a riempire verbali su verbali. E dovrà torna­re a riempirne ancora nei prossi­mi giorni: anche se ieri il suo di­fensore Massimo Dinoia fa sape­re che «non risulta che siano sta­ti fissati nuovi interrogatori».

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