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Illegali per legge, il giudice «brucia» la Consulta

MilanoÈ o non è incostituzionale la norma che ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di clandestinità? Mentre pesi massimi della magistratura come Giancarlo Caselli e Armando Spataro annunciano via stampa la loro intenzione di portare la nuova legge davanti alla Corte costituzionale, gli imperscrutabili percorsi della cronaca fanno sì che il primo a doversi pronunciare davvero sulla questione sia un magistrato che - a fronte di Caselli e Spataro - è un minimosca. Anzi in un certo senso non è neanche un magistrato, perché è un giudice di pace, un avvocato prestato alla magistratura e pagato un tanto a processo. Che però non si perita di mettersi in rotta di collisione con colleghi tanto più autorevoli. E proclama in pubblica udienza che secondo lui incriminare e processare un immigrato per clandestinità non scalfisce in niente le garanzie offerte dalla Costituzione. E ricorda - ad udienza aperta e telecamere accese - che le leggi le fa il parlamento e compito dei magistrati è quello di applicarle.
Il giudice di pace si chiama Antonio Orpello, e la sorte gli affida il primo processo fissato a Milano a carico di uno straniero arrestato per clandestinità. Da quando è entrata in vigore la legge, le forze di polizia del capoluogo lombardo hanno denunciato per il nuovo reato una valanga di stranieri (732, secondo le ultime statistiche). Ma solo sette o otto arrivano ieri a processo: sono quelli che, essendo detenuti per altri reati, esistono in carne e ossa e non solo sulla carta (mentre per tutti gli altri, denunciati a piede libero e subito svaniti nel nulla, i processi si faranno chissà quando o non si faranno affatto).
Così alle 9.30 di ieri il giudice Orpello si trova faccia a faccia con Leoned Hrioroko, un ucraino tatuato e muscoloso. Il giovane difensore dell’ucraino, Lara La Piscopia, prende la parola chiedendo che il processo venga bloccato e che tutta la faccenda sia inviata alla Corte costituzionale perché la nuova legge viola gli articoli 3 e 27 della Costituzione. Il pubblico ministero - che evidentemente non ha ricevuto ancora istruzioni precise in merito da parte dei vertici della Procura - si astiene dal prendere posizione. A quel punto il giudice Orpello, trovandosi alle prese con una faccenda vistosamente più grande di lui, avrebbe a disposizione un modo semplice di cavarsi d’impiccio: quello di mandare gli atti a Roma e lasciare che sia la Consulta a sbrogliare la delicata matassa.
Invece Orpello, senza neanche stare tanto a pensarci, respinge tutto: l’eccezione viene bocciata perché la questione è «manifestamente infondata». «Il reato di immigrazione clandestina - spiega il giudice di pace - esiste in tutta Europa. È la legge a stabilire quali sono i reati e il giudice deve applicare la legge, d’altronde se questa norma venisse abrogata sarebbero gli stranieri clandestini a trovarsi in una situazione di privilegio». Fine della discussione, il processo va avanti. Nelle aule affianco, intanto, arrivano le prime condanne: cinquemila euro di multa ed espulsione immediata.

Ma per adesso, in realtà, non viene cacciato nessuno.

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