Imam rapito, lo 007 parla per sei ore: «Ora vorrei vedere la partita a casa»

I pm interrogano in cella Marco Mancini: «Fu parte attiva nel sequestro di Abu Omar»

da Milano

È abituato da una vita a lottare e non si lascia andare nemmeno in questo frangente difficilissimo. Marco Mancini, il numero due del Sismi, riceve in cella a San Vittore l’eurodeputato della Lega Matteo Salvini e a lui confida il suo sogno: «Spero di poter vedere la finale dei campionati del mondo di calcio a casa». Difficile, molto difficile che l’aspettativa si trasformi in realtà. Alle 15 a San Vittore arrivano il gip Enrico Manzi e i due pm Armando Spataro e Ferdinando Pomarici. L’interrogatorio di garanzia dura sei ore e si conclude solo in serata. La linea del Piave è quella tracciata nei colloqui preparatori con gli avvocati Luca Lauri e Luigi Panella. «Io sono innocente - ha ripetuto loro Mancini - io non ho mai rapito nessuno».
I Pm la pensano in tutt’altro modo: «Dall’autunno 2002 il Sismi collaborava con la Cia per organizzare il sequestro». E quando si dice Sismi i magistrati milanesi si riferiscono in prima battuta a Marco Mancini e a Gustavo Pignero. Per i Pm, la coppia sapeva e aveva comunicato ai dipendenti il progetto. Nei giorni scorsi almeno tre ufficiali avrebbero confermato, nel corso di interrogatori, le confidenze ricevute.
Certo, scorrendo le pagine dell’ordinanza non è chiaro cosa Mancini e i suoi uomini avrebbero fatto in concreto. «Mancini e Pignero - scrive il gip - hanno direttamente ed attivamente contribuito a disporre gli accertamenti finalizzati alla consumazione del reato: studio delle abitudini della vittima, predisposizione del luogo di transito, studio dell’ambiente in cui intervenire». Insomma, tutto il supporto necessario agli agenti della Cia, effettivamente entrati in azione la mattina del 17 febbraio 2003 in via Guerzoni a Milano.
Panella e Lauri hanno preparato una difesa che ruota su almeno tre punti. Mancini non ha sequestrato nessuno, proprio come lui dice. Certo, i Pm leggono in chiave colpevolista le intercettazioni in cui l’alto ufficiale parla di una «richiesta illegale» e di «portarlo via». Ovvio, quelle allusioni sono per i Pm la prova provata che c’è anche lo zampino del Sismi nell’affaire Abu Omar. Ma quei dialoghi, se ben letti, contengono anche la rivendicazione di Mancini di aver rifiutato quella proposta, di avere detto di no alla richiesta di collaborazione degli yankee, di aver rispedito al mittente quel gesto illegale. Vero? Falso?
E come sarebbe avvenuto il dialogo con l’ingombrante partner americano? Qui si apre il secondo delicatissimo capitolo. Mancini si chiama fuori e potrebbe lasciar intendere che altri, ad altissimi livelli, hanno coltivato il dialogo con gli americani. Insomma, seguendo questa impostazione diventa difficile non pensare che il tutto sia passato sopra la testa del generale Nicolò Pollari, numero uno del Sismi. E certo, i Pm nell’arco delle sei ore di domande e risposte saggiano anche il rapporto fra Mancini e Pollari, uno degli snodi decisivi dell’indagine.
Poi, si tocca anche il terzo tema, nel tentativo di far saltare il banco dell’accusa sul piano delle procedure seguite: ci sarebbe il divieto, a sentire gli avvocati, di intercettare gli 007, mentre maneggiavano notizie che avevano a che fare con segreti di Stato. Tutelati dagli articoli 256 e 261 del codice penale.

I Pm lasciano il carcere in serata. Tornano ai loro uffici e alle loro indagini. Ora si scava non solo sul sequestro ma anche sui rapporti opachi fra Sismi e mondo dell’informazione. Fra agenti e giornalisti a libro paga.

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