Politica

Imam rapito, altri 007 finiscono sotto inchiesta

Sentito per 4 ore in procura, l’agente avrebbe iniziato a collaborare con gli inquirenti

Stefano Zurlo

da Milano

Altre quattro ore di domande e risposte. Non più nel parlatorio di San Vittore, ma in Procura. Marco Mancini, camicia azzurra, giacca beige Ray-Ban, deve bere fino in fondo l’amaro calice. La strategia dei suoi legali Luca Lauri e Luigi Panella è netta: accettare il dialogo con i Pm, evitare la scelta del silenzio e provare a smarcarsi dalle accuse pesantissime contenute nell’ordinanza di custodia. Impresa difficile, perché Armando Spataro e Ferdinando Pomarici hanno raccolto molto materiale, hanno assemblato le dichiarazioni di numerosi testi, hanno ricostruito minuziosamente spostamenti, tabulati e perfino carriere. «Mancini non ha mai sequestrato nessuno», ripetono Lauri e Panella. Il problema è uscire dall’imbuto in cui è stato risucchiato.
Come? Mancini, nei due interrogatori di venerdì e ieri, gioca la carta delle intercettazioni, la stessa utilizzata dai Pm. Secondo i magistrati, quei dialoghi, particolarmente quelli fra Mancini e il suo superiore all’epoca dei fatti Gustavo Pignero, sono la prova provata che anche il Sismi partecipò al rapimento di Abu Omar e aiutò, almeno nella fase preparatoria, la Cia. Per Mancini invece quelle parole, quelle frasi incautamente sfuggite al telefono nelle scorse settimane, dimostrano l’esatto contrario: è vero, arrivò una richiesta dagli americani, ma in qualche modo il suo gruppo si chiamò fuori, non si accodò agli yankee, infine rifiutò di partecipare ad un’operazione illegale sul territorio italiano.
Le testimonianze raccolte dagli inquirenti vanno però in un’altra direzione. E resta da chiarire la catena delle responsabilità: i magistrati vogliono sapere come arrivò l’input, chi era al crocevia fra Cia e Sismi, il grado di conoscenza degli eventi da parte del numero uno Nicolò Pollari. Sei ore di interrogatorio venerdì, quattro sabato. Alla fine gli avvocati se ne vanno senza dire una parola. E sembrano aver dimenticato il fiero proposito balenato subito dopo l’arresto: «Chiederemo subito la scarcerazione di Mancini». Una frase che si sposava con quella pronunciata da San Vittore proprio dall’alto ufficiale: «Spero di poter vedere la finale a casa».
La partita si complica. E giorno dopo giorno emergono i tanti tasselli di un’inchiesta assai laboriosa. Si scopre così che è indagato anche il maresciallo Giuseppe Ciorra, funzionario del Sismi di Milano e braccio destro di Mancini. L’accusa è sempre la stessa che ha travolto i vertici del Servizio: concorso nel sequestro dell’ex imam di Milano. In quello che sembra essere diventato un combattimento fra sole guardie, Ciorra è l’agente che dà l’allarme il 27 aprile scorso quando viene a sapere che la Digos è andata in due alberghi milanesi, il Principe di Savoia e il Mediolanum, e ha spulciato i registri dell’epoca del rapimento. Una ricerca fruttuosa perché proprio in quei giorni di febbraio del 2003 Ciorra e sei agenti della Cia avevano pernottato al Principe di Savoia, mentre il capocentro del Sismi di Trieste Lorenzo Pillinini, pure molto vicino a Mancini, aveva dormito al Mediolanum. Ciorra, preoccupatissimo, chiama Mancini, gli lascia un primo messaggio sulla segreteria telefonica, poi lo contatta e gli spiega: «Oggi due della Digos... che ho accertato chi sono, si sono presentati al Mediolanum dove due o tre anni fa avevo prenotato Lorenzo Pillinini per quel lavoro nel settore libico. Anche al Principe di Savoia sarebbero andati nei giorni scorsi a chiedere notizie... lì ancora non ho ben capito. Volevo informarti di questa cosa in modo tale da vedere un attimino come... insomma eventualmente regolarsi».
La Procura di Milano ha scattato una sorta di foto di gruppo in cui compaiono alcuni uomini chiave del team di Mancini: il suo vice Ciorra, quasi contiguo alla squadra della Cia, Pillinini, che confida ad alcuni agenti di Trieste di saperla lunga sul sequestro, il capocentro di Padova Marco Iodice che proprio in una telefonata a Mancini del 18 maggio scorso si tradisce e ammette che la Cia chiese al Sismi di entrare nell’operazione, Maurizio Regondi, vice di Mancini a Milano. Troppi 007 vicini contemporaneamente a Mancini e al luogo del reato. Lui non ha alternative: collabora con i Pm e fa alcuni nomi. Anche se cerca di salvare il salvabile e di trovare una via d’uscita. Nei prossimi giorni altri ufficiali verranno interrogati e altri militari coinvolti nel sequestro potrebbero essere identificati. Si scava in tante direzioni: sui rapporti fra Mancini e l’ex capo della sicurezza Telecom Giuliano Tavaroli. E poi ancora sulla liaison di Mancini con il nuovo capo della Cia in Italia Robert Lady. Per lui solo poche settimane fa Mancini aveva prenotato un lussuoso albergo in Sardegna per una vacanza da sogno. Si cerca infine un dossier sull’anomala «estradizione» in Egitto dell’ex imam.

Un documento nascosto in qualche sede dell’intelligence.

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