Immensa Cina così lontana e troppo vicina

Nel 1984, l’editore Vallecchi pubblicò Mal di Cina, di Ilario Fiore, libro bellissimo quanto sconosciuto. Fiore - che era stato corrispondente della Rai da Washington, Mosca e Pechino - si era innamorato della Cina e aveva capito subito che il Paese più antico e popolato del mondo avrebbe presto segnato il cammino dell’intera umanità. L’amore aveva solide radici e poteva contagiare a distanza, per esempio, leggendo l’appassionata descrizione di certe mirabilie gastronomiche e di taumaturgici massaggi orientali. Vittima del mal di schiena, l’autore era stato oggetto delle cure, nientemeno, del massaggiatore di Nixon e di quello di Mao: certo uomini di gran fegato entrambi, ma fra i due pare non vi fosse partita...
Quante differenze, quasi un quarto di secolo più tardi, col reportage della giornalista tedesca Johanna Wieland, Cartoline cinesi (editrice Pisani, pagg. 134, euro 12, traduzione di Nicole Ferrerati)! La Wieland compie una vera spedizione nella Cina di tutti i giorni. Percorrendo cinquemila chilometri in otto settimane, realizza «il viaggio perfetto» teorizzato da Mario Praz: uno spostamento nello spazio coincidente con uno spostamento nel tempo. Dalle megalopoli ultratecnologiche della Cina contemporanea, ai remoti templi di Mian Shan, dove vivono gli dei e ancora resiste una millenaria civiltà contadina. Le cartoline sono la fotografia della spaventosa accelerazione della storia, con il nuovo che inghiotte inesorabilmente l’antico, smarrendo quasi sempre la dimensione umana. L’ammirato stupore per le straordinarie capacità del popolo cinese si mescola così alla dolente constatazione dello stupro della natura, o all’indignazione per la vergogna del Tibet (su cui l’Occidente tace nel nome di Sua Maestà il dollaro...).
Nella sterminata provincia dello Shanxi, ciminiere dalle quali si levano gigantesche e mostruose macchie nere come l’inchiostro di china nella tela senza colore del cielo: un miliardo di tonnellate di carbone estratto ogni anno. Laddove i filtri, che abbatterebbero le polveri inquinanti, sono un lusso costoso, un ostacolo alla finale scalata alla vetta dei Paesi industrializzati. Al massimo tra vent’anni i cinesi avranno immesso nell’atmosfera cinque miliardi di tonnellate di anidride carbonica e 45 milioni di tonnellate di anidride solforosa... Il «Drago blu», il fiume Chang Jiang, sarà presto domato da una diga colossale, per realizzare la più grande centrale idroelettrica del mondo: due milioni di persone evacuate, centomila ettari di terre fertili persi, 1.200 monumenti storici annegati. L’azzurro Yangtze, dove «il grande timoniere» Mao Zedong faceva il bagno per dimostrare di avere, ancora a 72 anni, l’energia vitale di un ragazzino, è saturo di nafta, acido solforico, residui tossici delle industrie chimiche e delle cartiere...
La rapida occidentalizzazione imposta dal regime in economia sta inoltre creando figure sconosciute nella società cinese: donne in carriera, modelle, manager, architetti minimalisti, ma anche 50 milioni di disoccupati, il maggior pericolo per la stabilità della Cina. A fronte di tanta modernità, un viaggio da Pechino a Taiyuan è ancora un’odissea, a causa del sovraffollamento, tra «scie di pipì dalle toilette stracolme, e l’aroma dolciastro di piedi sudati in calze indossate troppo a lungo».
C’è anche la Cina ferma nel tempo. Cartoline che ritraggono isole di poesia come il minuscolo teatro di campagna in cui un uomo anziano ha investito tutto ciò che possiede in una bellezza anacronistica e inutile: le rappresentazioni operistiche. O le montagne sacre di Mian Shan: dove si può camminare cinque giorni di fila, passando per templi e santuari taoisti e buddhisti.

Ma si tratta di piccole luci, a petto delle ombre minacciose che hanno lasciato nell’autrice soprattutto il ricordo di un Paese «troppo affollato, troppo rumoroso, troppo sporco», che presto ci dominerà. Ilario Fiore è molto lontano nel tempo.

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